Dopo otto anni e una parentesi da regista di serie tv, Niccolò Ammaniti è tornato a pubblicare un romanzo: “La vita intima”, il suo decimo incluse due raccolte di racconti.
Sono trascorsi quasi trent’anni dal suo esordio, fulminante, con “Branchie” dove con una storia fantastica ambientata in India, mise subito a frutto la sua quasi laurea in scienze biologiche. Anche se il successo arriverà più tardi con “Io non ho paura”, che diventerà un film di Salvatores, e poi col premio “Strega”, ricevuto nel 2007 per “Come Dio comanda”.
Dopo Salvatores, fu Bernardo Bertolucci, da “Io e te” pubblicato nel 2010 (forse il suo libro più bello anche se personalmente ho amato di più “Ti prendo e ti porto via), a trarne quello che sarà il suo ultimo film.
Questa esegesi, breve e assolutamente incompleta, di Ammaniti è necessaria per certificare la mia iscrizione non solo nel partito dei suoi lettori, ma anche dei suoi sostenitori.
Pur’io sedotto da quella capacità di raccontare pattinando sul flusso degli avvenimenti con assoluta naturalezza. Semplice ma mai banale, Ammaniti si è conquistato la fiducia mia e di tantissimi lettori, anche se in realtà, almeno nel mio caso è la sua vocazione splatter, il suo senso cinico, ad alimentare maggiore curiosità e considerazione (se c’è qualcuno che non ha visto “L’ultimo capodanno” il film che Marco Risi, nel 1998, diresse su soggetto e sceneggiatura di Ammaniti, tratto da un suo racconto pubblicato in “Fango”, lo cerchi e lo veda. Immediatamente).
Assimilate queste indispensabili premesse, “La vita intima” sorprende per levità.
E’ la storia di Maria Cristina Palma, moglie del primo ministro italiano, donna frivola e bellissima, inconsistente dal punto di vista culturale e costantemente «fuori luogo». Tutto sembra filare quasi liscio finché l’incontro con un suo amore adolescenziale le spalanca dinanzi il baratro dell’amoralità e del disprezzo pubblico. Pantano dal quel neanche il social media manager del premier, il fantomatico «Bruco», forse potrà sollevarla.
In un mondo schiavo delle apparenze, ricattabile, ossessionato dalla perfezione e dai giudizi morali, Ammaniti ci conduce, o forse ci convince, a sostenere la tesi che l’unica libertà risiede nel mostrare la verità così com’è. Nuda e cruda. Anche a costo di perdere tutto, persino le elezioni.
D’altronde ogni, singola, nostra vita intima è così fatalmente destinata a divenire pubblica, che opporsi alla verità è un esercizio quanto meno inutile.
Ammaniti si lascia leggere talmente facilmente che si rischia di smarrire per strada i paradossi, le citazioni e i riferimenti, che abilmente semina lungo il percorso, lungo in questo caso quasi 300 pagine. Non gli servono invenzioni surreali né personaggi improbabili, nessun vero psicodramma, il reale, pare dire Ammaniti, oggi è già sufficientemente irragionevole.
Così il colpo di scena è che il colpo di scena non arriva mai.
Ma ad Ammaniti lo possiamo perdonare (?).
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