Una prospettiva qualunque

illuminare corridoioNon è chiaro come l’uomo fosse riuscito a raggiungere quell’ufficio. L’edificio che lo conteneva si trovava in piena periferia, in un campo di granoturco riconvertito a parcheggio, sempre deserto. La sagoma del fabbricato, fine novecento, si stagliava sull’orizzonte vuoto. Un regolare parallelepipedo senza balconi, con finestre piccole ed allineate. Un passante gli aveva indicato l’ingresso. Una donna, in una specie di portineria, gli aveva indicato un ascensore e il quarto piano.

Ma al quarto piano sembrava non ci fosse niente, non un cartello, non un segnale. Solo un lungo corridoio.

L’uomo ci pensò sopra un minuto, ebbe anche la tentazione di riprendere l’ascensore e di tornare giù a chiedere spiegazioni, poi si decise ad andare avanti.

Percorse il lungo corridoio dove il buio era interrotto solo da alcuni rari segnapassi, la tappezzeria alle pareti puzzava di nuovo e di colla, non se ne vedeva la fine. Camminò un tempo infinito e piatto, finché la luce di un neon verdognolo e pigro si apri su una piccola aula con una decina di sedie e quattro porte sulla parete difronte.

L’uomo ci si avvicinò e provo a spingerle impugnando bene la maniglia, ad una ad una tutte, ma erano chiuse. Riprovò: chiuse.

Rimase perplesso, ascoltò il silenzio per qualche minuto.

Chiamò: “C’è nessuno ?”.

Silenzio.

Riprovò. “C’è qualcuno in questo posto ?”.

Ancora silenzio.

Era quasi mezzogiorno ma dalle piccole finestre non filtrava neanche un minuscolo fascio di luce. Da dentro poteva sembrare anche mezzanotte. L’uomo sentiva le gambe a pezzi e gli pareva di avere persino la febbre. Quanto doveva essere stato lungo quel dannato corridoio. Provò a sedersi per qualche minuto, tornare indietro gli sembrava un operazione troppo faticosa. Sedendosi forse avrebbe ritrovato le forze e anche un’idea sul da farsi.

L’uomo scelse la prima delle sedie entrando, poggiò i gomiti sulle cosce, e il mento sul palmo di entrambe le mani. Avvertì come una sensazione di deliziosa calma. Chiuse gli occhi e si addormentò.

Quando si svegliò non riusciva a capire quanto tempo avesse dormito, la luce era sempre la stessa e come prima poteva essere mezzogiorno o mezzanotte. Sollevò lo sguardo dal pavimento, cercando di ricordare dove fosse precisamente. Era tutto come prima, ma delle quattro porte ne era rimasta una soltanto. Si alzò di scatto, cerco di capire se avesse cambiato stanza, se qualcuno lo avesse portato di peso in un’altra sala d’attesa. Poi controllò la parete, dove c’erano le porte: il muro era perfettamente liscio. Nessun manovale poteva avere eliminato le porte in così poco tempo, senza fare nessun rumore e senza lasciare neanche un piccolo segno sul muro.

Quando l’uomo provò ad aprire l’unica porta rimasta, questa si aprì, facilmente. Si infilò dentro velocemente.

Un enorme sala con una serie di armadi metallici tutt’intorno, centinaia di faldoni in procinto di esplodere disseminati sul pavimento, in ogni angolo, accatastati l’uno sull’altro. Dinanzi a sé, un giovane dagli occhi azzurri intento a schizzare una prospettiva isometrica con una biro blu, sorpreso nel suo infinito torpore, senza schiodare gli occhi dal foglio, il ragazzo interruppe il silenzio.

Lei è ?”, gli chiese.

L’uomo disse il suo nome, la sua voce gli uscì come da un telepass in maniera elettronica e fredda.

Seguì un secondo di silenzio, profondo come un pozzo asciutto.

Si accomodi, da questa parte”.

Un vecchio con occhiali spessi un metro, dietro una scrivania piena di fascicoli legati con lo spago doppio, gli aveva fatto un cenno con la mano.

Il ragazzo riprese a disegnare la sua prospettiva, l’uomo fece due passi verso la sua destra, attraversò una passerella stretta tra gli armadi e raggiunse la scrivania del vecchio.

Si segga pure” disse questi che aveva capelli lisci e radi di color argento.

L’uomo si sedette con un movimento lento e preciso, senza perdere di vista il vecchio che intanto aprì un armadio, ne guardò il contenuto dall’alto al basso per qualche secondo puntandogli l’indice contro e poi ne estrasse un grosso fascicolo, quindi tornò a sedersi senza tradire nessuna emozione.

Perdoni il disordine” disse il vecchio, “ma qui non viene quasi mai nessuno. Lei è il primo da quattro mesi”. Nel frattempo aprì il fascicolo e ne lesse alcune carte.

L’uomo non smetteva di fissarlo attento.

Vedo che lei è in ritardo di molti anni” disse il vecchio, “pensi che sarebbe potuto venire anche trent’anni fa. Per questo il suo fascicolo è così grosso. Ma non si preoccupi, meglio tardi che mai”.

L’uomo continuava a fissare il vecchio, dopo aver trovato l’entrata si sentiva più sereno, l’idea di dover ripercorrere il corridoio buio lo terrorizzava; inoltre sentiva di nuovo una inconsueta energia nelle gambe.

Senta, mi perdoni, mi può spiegare come è riuscito ad arrivare fin qui ? E’ una semplice curiosità, lo chiedo a tutti”.

L’uomo si prese un eterno minuto per pensare alla risposta, come se da quella dipendesse il suo futuro e l’esito di quel colloquio.

Non so spiegarlo precisamente” iniziò, “ieri sono andato regolarmente a letto a casa, poi mi ricordo questo grande parcheggio, quindi ho chiesto aiuto ma nessuno ha saputo darmi un indicazione chiara. Ho percorso un lunghissimo corridoio; poi ero stanco, mi sono addormentato, credo di aver dormito moltissimo, quando mi sono svegliato c’era una sola porta e sono entrato”.

Il vecchio scosse la testa leggermente, poi si grattò i capelli argentati con l’indice ed il medio della mano destra.

L’importante è che lei volesse arrivare qui. Lo ha desiderato così forte che alla fine è riuscito a raggiungerci. In genere succede così per tutti quelli che ci riescono”.

E adesso cosa succede ?” chiese l’uomo.

Adesso ? Bhè dipende da lei, solo da lei”.

Cioè, ci saranno dei cambiamenti ?” chiese ancora l’uomo.

Ovviamente” sorrise il vecchio mostrando una discreta dentatura, “d’altronde se lei ha desiderato arrivare fin qui, è evidente che desiderasse cambiare le cose. Anche a costo di qualche rischio. Lo tenga a mente per il futuro”.

Cercherò di non dimenticarlo” rispose l’uomo.

Nel frattempo, il vecchio picchiava con un pesante timbro con l’impugnatura in legno in un tampone di inchiostro, poi estrasse dal fascicolo alcuni fogli ingialliti, li timbrò tutti sull’angolo in alto a sinistra, li firmò con una sigla e li porse all’uomo.

Senta”, disse ancora il vecchio, “quando sarà fuori di qui, incontrerà molte persone che stanno cercando questo posto, la prego di non raccontare molti dettagli. Questo è un ufficio dove bisogna arrivare da soli. Se si è capaci di farlo”.

Cercherò di ricordare anche questo” rispose l’uomo mentre afferrava i fogli, ripiegandoli senza guardarli.

Le confesso anche un piccolo segreto” aggiunse il vecchio, abbassando il tono della voce e avvicinandosi al viso dell’uomo.

Vede il ragazzo all’ingresso ?”, l’uomo fece un leggerissimo cenno di si con la testa. “Ecco, è solo il suo secondo giorno di lavoro ma qui c’è già il suo fascicolo” e mentre diceva queste parole, il vecchio sollevò una sottile cartella dalla scrivania, contenente appena qualche foglio.

L’uomo guardò il fascicolo, poi il ragazzo, quindi di nuovo la piccola cartella: sulla copertina c’era un nome e un cognome.

Le sembra che quel ragazzo sia felice ?” chiese il vecchio sempre sottovoce.

Non lo so” rifletté l’uomo, “in effetti, ora che lo guardo bene, mi sembra abbia un’espressione piuttosto malinconica”.

In realtà quel ragazzo avrebbe voluto fare l’architetto” disse il vecchio, “ma potrebbe fare anche il pittore, lo scenografo, qualcosa che abbia a che fare con l’arte: ha un talento straordinario

All’uomo tornò in mente la prospettiva disegnata con la biro. Ma anche le sue di prospettive. “In fondo è quasi sempre un problema di prospettive”, pensò.

Ma poi i genitori hanno deciso per lui. Gli hanno detto che era meglio trovarsi un lavoro sicuro, uno stipendio fisso e tutto il resto. Ed eccolo qui. Spero solo che venga presto a riprendersi il suo fascicolo e non impieghi trent’anni come ha fatto lei”.

L’uomo avrebbe voluto dire qualcosa come per scusarsi, ma non gli venne nulla.

“Comunque io non posso aiutarlo e nemmeno lei, come le ho appena detto ognuno deve percorrere la strada da solo, fossero anche pochi metri”, concluse il vecchio mentre si sistemava gli occhiali sul naso.

L’uomo si alzò e strinse la mano del vecchio dai capelli color argento. Quindi camminò all’indietro, tra gli armadi. Uscendo ripassò davanti al ragazzo con gli occhi azzurri, chino sulla sua prospettiva isometrica.

Scorse anche un cartello, accanto alla porta d’ingresso: “Ufficio ritrovamento persone smarrite”.

 

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