Nel 1953 lo scrittore americano Ray Bradbury, reduce dal successo di “Cronache marziane”, rielaborò un suo romanzo dal titolo “Fireman” edito qualche anno prima a puntate sulla rivista Playboy e pubblicò “Fahrenheit 451”, forse il suo libro di maggior successo.
Bradbury, in gioventù assiduo frequentatore di biblioteche, era rimasto turbato dai roghi coi quali i nazisti avevano bruciato i testi che intendevano censurare; si convinse come la forma scritta fosse il migliore mezzo di conoscenza e, seppur spendendo tutta la vita a scrivere libri di fantascienza, non lo dimenticò mai.
“Fahrenheit 451” è ambientato in un futuro imprecisato dove i pompieri non spengono incendi ma li appiccano nelle case dove viene segnalata la presenza dei libri. Nella squadra dei vigili del fuoco c’è l’inquieto Montag che, dopo molti anni di onorato lavoro, inizia a nutrire dei dubbi sull’efficacia delle misure governative.
Tuttavia i suoi tentativi di convertire la moglie Mildred si infrangono contro l’apatia della donna innescata dal chiacchiericcio continuo della sua compagnia prediletta: la televisione, che oramai occupa le pareti di ogni casa e trasmette ininterrottamente rèclame, panorami di posti esotici, quiz e notiziari di regime.
Una straordinaria preveggenza in una società dove la televisione era ancora un lusso e i programmi televisivi solo agli esordi (in Italia le trasmissioni televisive arriveranno solo un anno dopo, nel 1954).
“La televisione è reale, immediata, ha dimensioni. Ti dice cosa pensare, anzi te lo grida: deve essere giusto, sembra essere giusto. E ti precipita alle sue conclusioni così in fretta che la mente non ha il tempo di rispondere: Quante sciocchezze!” (Faber)
Montag troverà nell’anziano Faber una sponda per mettere in pratica il suo piano, ma tradito proprio da sua moglie, sarà costretto a difendersi con le sue stesse armi dal capo squadra Beatty che proverà fino alla fine a convincerlo che quel tipo di felicità oramai è tanto soddisfacente quanto inevitabile.
“Dai alla gente concorsi a premi in cui basta conoscere le parole delle canzoni più famose, le capitali degli stati o quanto granturco si è prodotto l’anno scorso nello Iowa. Riempila di informazioni innocue, rimpinzala di tanti “fatti” e si sentirà intelligente solo perché sa le cose” (cap. Beatty)
Bradbury, che scelse “Fahrenheit 451” come titolo del libro, indicandola come la temperatura alla quale brucia la carta (in realtà è funzione del tipo di carta e dello spessore), era un acuto quanto severo osservatore della realtà. In un America assediata dal maccartismo (tutti potevano essere potenzialmente spie comuniste) e terrorizzata dall’incubo nucleare, il visionario Ray prevede una società dove, a seguito della distruzione di tutti i libri, saranno gli uomini con i loro ricordi a doverli riscrivere.
Solo in Italia si pubblicano ogni anno più di 80000 libri, ma, è chiaro, la cultura di massa si veicola con altri mezzi.
Bradbury non poteva prevedere l’invasione di internet, ma il suo monito contro l’ipnosi collettiva innescata dai media, oggi a 70 anni dalla pubblicazione di “Fahrenheit 451”, suona fatalmente puntuale.
E anche se del 90% degli 80000 libri che ogni anno vengono alla stampa, si potrebbe fare tranquillamente a meno, la libertà consiste anche nel poterli avere tra le mani.
“Le cose che cerca, Montag, sono nel mondo ma il solo modo in cui l’uomo medio può conoscerle è leggendo un libro”. (Faber).
(“Un libro è una pistola carica” è una citazione dal libro).
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