TUTTI NOI ALLA SFIDA DEL TEMPO

Sembra ieri che avevamo quindici anni.

Ricordiamo ancora perfettamente il momento del nostro primo bacio e lo sguardo del nostro primo amore. Eppure sono già passati molti anni. In alcuni casi, decine.

Come è stato possibile che tutto questo tempo sia passato così in fretta?.

Eppure è trascorso, quasi senza che ce ne accorgessimo, mentre eravamo impegnati ad occuparci di mille altre cose, convinti di anticiparlo, lui filava dritto. E ci trascinava. 

Talvolta, e probabilmente in questi giorni capiterà, siamo tentati di guardarci alle spalle e chiederci dove eravamo e cosa stavamo facendo cinque, dieci, venti anni fa. Un esercizio puramente retorico, che ci consegna, disarmati, alla nostalgia.

Ma se pure avessimo contezza precisa di come abbiamo usato il nostro tempo, molti ci riescono ad esempio compilando anche in età adulta diari di appunti che si trasformeranno inevitabilmente in ricordi, il tempo alle nostre spalle non ha nessuna possibilità di tornare.

E’ una consapevolezza che ci appartiene ma della quale prendiamo atto solo nei momenti di estremo disagio.  Come questo, nel quale siamo costretti in casa e la percezione del tempo non può che apparirci distorta. Capita spesso nelle situazioni estreme.

I cinque minuti che impiegavamo per salutare la nostra fidanzata/o da adolescenti, stringendole la mano, sembravano volare.

Cinque minuti in attesa di un responso medico o fermi in ascensore a porte bloccate sono un’eternità.

Quando la nostra squadra del cuore è in vantaggio di una rete e l’arbitro indica cinque minuti di recupero, lo sanno bene i tifosi di calcio, quel tempo ci sembrerà infinito. Brevissimo, viceversa, per i sostenitori della squadra avversaria.

Un’ansia inutile ed ininfluente. In fondo è sempre sufficiente aspettare, per conoscere il finale.

Ma non tutte le generazioni sono educate all’attesa: pochi secondi di pausa per il caricamento di una pagina internet possono provocare l’inquietudine di un ventenne.

Molti anni fa, viceversa, per veder comparire un videogame sullo schermo del nostro televisore, fissavamo per interminabili minuti il mulinare del nastro delle cassette del Commodore 64.

Quell’intervallo ci occorreva per immaginare le nuove sfide che avremmo affrontato.

Luciano De Crescenzo per ingannare l’attesa dell’ascensore nell’edificio dell’IBM dove lavorava da giovane, convinse i vertici a rinunciare all’impianto di un nuovo ascensore e a posizionare uno specchio sul pianerottolo.

Guardarsi divenne il modo più acuto per ingannare quei minuti di attesa.

Ritrovare il tesoro dell’attesa è un occasione che dobbiamo cogliere in questo tempo infausto.

Per esserne interpreti e non vittime.

Ci è stato chiesto di restare in casa per quindici giorni. Tra qualche anno cercheremo di ricordare in che modo abbiamo usato questo tempo.

Ma quanto durano quindici giorni chiusi in casa?.

Poco, se abbiamo specchi per guardarci dentro, sfide da immaginare, qualcuno o qualcosa da stringere per mano: un amore, una passione, un ideale.

Un’eternità se aspettiamo solo che quelle maledette porte si riaprano al piano.

FOLLOW ME ON TWITTER: @chrideiuliis – search me on LINKEDIN

Leggi anche: L’insostenibile leggerezza del disobbedire

L’irresponsabilità collettiva

Il dolore cronico

(Visited 323 times, 1 visits today)

Leave A Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


− 7 = 2