«Ti telefono a Natale»

vetroQuando Simone ripensa oggi al Natale del 1990 gli viene sempre in mente quella canzone cantata da Fiorella Mannoia e che inizia con queste parole “Avere vent’anni non è mica semplice, ci vuole una vita per imparare”. Anche se in realtà Simone nel 1990 di anni ne aveva solo quindici, ma a maggior ragione, quindici è ancora meno di venti e quindi averli è probabilmente anche più complicato. Ma non è solo quella canzone a venirgli in mente, ci sono tutta una serie di immagini e ricordi che magari non appartengono neanche precisamente a quel tempo, ma oramai ci sono entrati di diritto, come se quel Natale avesse risucchiato tutte le cartoline belle dei suoi natali da adolescente ed ora rimanesse solo quello nella sua memoria. In realtà il Natale del 1990 di Simone iniziò a Settembre, quando Cristiana, la ragazza che aveva conosciuto quell’estate, partì per tornare a casa. Non si erano fidanzati, anzi non si erano neanche dati un bacio, ma nessuno dei due aveva l’esperienza adeguata per stabilire i confini delle cose. Lei, semplicemente, prima di partire e tornare in città, aveva dato il suo indirizzo di casa a Simone, che se lo era scritto sulla mano, pregandolo di spedirgli una videocassetta. Per raccontare bene questa storia adesso bisognerebbe aprire una lunga parentesi. Occorrerebbe rivelare alcuni aspetti della vita di Simone, della sua innata timidezza e dalla sua incurabile insicurezza, acuita ancor di più dall’apparecchio per i denti che proprio quell’estate gli avevano piazzato in bocca. Oppure dire qualche parola su quale labirinto di parentele portavano ogni anno Cristiana a trascorrere in paese una parte dell’estate. Uno zio che viveva solo e che aveva una casa grande quasi completamente vuota eccetera eccetera. Anche segnalare quanto fossero diversi, profondamente differenti, quei due adolescenti, sarebbe utile. Delle loro esistenze come rette decisamente parallele vissute in case con finestre affacciate su panorami che non avevano nulla in comune. Il mare sull’orizzonte per lui, un viale affollato d’auto, con alberi bassi e negozi alla moda per lei. Ecco, analizzare questa serie di dettagli certamente aumenterebbe gli indizi in dotazione dei lettori intorno a questa storia, ma comunque non sarebbe sufficiente a spiegare quel linguaggio segreto che gli adolescenti conoscono meglio dei cosiddetti adulti, quel messaggio che non rispetta codici ma trova sempre una strada per arrivare alla meta. Inoltre avventurarci in questa scoperta ci allontanerebbe molto dal racconto di quel Natale. Per tutti questi motivi salteremo questa parte, lasciando ampio spazio alla fantasia.

Ognuno dei lettori immaginerà a modo suo Simone e Cristiana. Darà un colore agli occhi di Simone e l’altezza giusta, a Cristiana un sorriso dolce e una frangia sbarazzina. Li vestirà con i jeans corti alla caviglia come andavano in quegli anni, il calzino di spugna bianco, le giacche con le spalle imbottite, le felpe larghe con le scritte enormi. Ognuno si farà per sé e per la propria fantasia, un ritratto. I lettori avranno anche cura poi di posizionare Simone e Cristiana in un mondo senza telefoni cellulari, e-mail e qualsiasi altra forma di comunicazione rapida che non fosse il tradizionale telefono fisso.  Inoltre toglieranno da quel pianeta anche i treni“Frecciarossa”che ora vanno su e giù per l’Italia in poche ore, perché nel 1990 le distanze tra il nord ed il sud del paese apparivano incolmabili, perlomeno per un quindicenne.

Simone spedì quella videocassetta in fretta. E Cristiana, sventuratamente, pensò di risponderlo con una lettera. Simone non aveva mai ricevuto una lettera né ovviamente ne aveva mai scritta una, ma gli sembrò naturale farlo in quel momento. Così da allora iniziò quel susseguirsi di scritti, domande e risposte, attese e speranze, che era consueto per molti adolescenti prima che la tecnologia imponesse nuovi riti. Diverse lettere andarono avanti ed indietro, finché Simone non si sa bene perché, intorno alla metà di Novembre, scrisse il numero del telefono di casa sua a Cristiana. E lei uguale, anzi fece di più:ci aggiunse, scritto chiaramente in stampatello,“Ti telefono a Natale”.

Quando Simone lesse quella frase era precisamente la mattina del primo di Dicembre, mancavano ancora venticinque giorni al Natale, era facile contarli, eppure Simone passo con l’indice uno per uno le caselle del calendario, contando e ricontando. Nonostante la sopravvenuta ansia e l’imprevista fretta, i giorni che mancavano al Natale, al termine di ogni conteggio, rimanevano sempre venticinque. Simone scrisse immediatamente a Cristiana, come sempre faceva, una nuova lunga lettera che terminava con queste parole: “sono molto felice che vuoi chiamarmi a Natale”. Poi, nel momento esatto in cui spinse la busta giù nella buca della posta, pensò che avrebbe potuto scrivere quella frase in maniera differente, che magari poteva dirle che sarebbe stato prima lui a chiamarla o che non vedeva l’ora di risentire la sua voce, sarebbe stata certamente emozionante risentirla, pensava, seppure modificata dalla trasmissione telefonica. Ma purtroppo oramai la lettera era stata inghiottita dalla caratteristica botola rossa delle poste italiane e tornare indietro era impossibile. Dal momento in cui Simone lasciò andare quella lettera trascorsero i primi dieci giorni, senza che lui avesse nessuna notizia di Cristiana. Ogni giorno, tornando da scuola, si fermava davanti alla cassetta della posta nell’androne del palazzo e guardava dai piccoli fori sulla superficie se dentro c’era una busta. A volte, per un curioso gioco di ombre, sembrava che appiccicata sul fondo ci fosse qualcosa, allora avvicinava ancora di più lo sguardo per esserne sicuro. Altre volte scorgeva una bolletta o dei volantini pubblicitari e allora pensava che in mezzo a quelli ci fosse la lettera di Cristiana.

Tuttavia passarono dieci giorni senza ricevere nessuna risposta. I lettori possono immaginare come Simone sapesse perfettamente come dieci giorni, nel mondo delle comunicazioni del 1990, fosse un tempo brevissimo. Una lettera per spostarsi di quasi 1000 chilometri impiegava circa una settimana, a quel tempo non era stata ancora inventata nemmeno la posta prioritaria, esistevano solo affrancature semplici al costo di 800 lire, oppure bisognava ricorrere ad una raccomandata. Al tempo che occorreva ad una lettera di Simone per raggiungere Cristiana, andava sommato il tempo che impiegava Cristiana a scrivere la risposta, poniamo due o tre giorni, quindi occorrevano nuovamente i giorni della spedizione. Con questo ritmo di conversazione, Simone e Cristiana riuscivano a scambiarsi due lettere al mese, al massimo tre. Salvo imprevisti. Intanto, nel Dicembre del1990, nel mondo continuavano a succedere un mucchio di cose. Saddam Hussein aveva invaso il Kuwait e gli Stati Uniti minacciavano la guerra, la Germania era tornata ad essere una sola nazione e c’erano state le prime storiche elezioni e poi Zucchero aveva cantato al Palazzo dei Congressi di Mosca, primo occidentale a suonare nel Cremlino. Simone, in una Domenica pomeriggio di pioggia, guardava la diretta di quel concerto e pensava che la terra in fondo fosse più piccola di quanto si immaginasse e che la musica fosse qualcosa capace di accorciare qualsiasi distanza. La musica era una delle poche cose che lui e Cristiana potevano veramente condividere. Un territorio dove quelle rette parallele riuscivano a sfiorarsi. Cristiana amava Battisti, anche Vasco e Venditti, ma soprattutto Battisti. Simone non aveva ancora esattamente un cantante preferito, ogni tanto dalle lettere di Cristiana spuntavano riferimenti a gruppi dal nome curioso che lui trovava stravaganti ed esotici, tipo Duran Duran o Pet Shop Boys, era un terreno minato sul quale non aveva intenzione di cimentarsi per non rischiare di apparire troppo provinciale. Se avesse deciso di fare un regalo di Natale a Cristiana, un disco di Battisti sarebbe andato più che bene, pensò Simone mentre Zucchero cantava “Imagine” nella fosca luce di un teatro sovietico.

La lettera di Cristiana arrivò quella settimana. Simone la estrasse dalla cassetta della posta come un archeologo cava un reperto egizio dalla tomba di un faraone. Questa volta non riuscì a resistere alla curiosità: la lesse nell’androne del palazzo, tutta d’un fiato. Cristiana le aveva scritto delle sue prossime vacanze di Natale, che sarebbe andata sulla neve con i suoi genitori, che sperava di non avere troppi compiti, dell’impianto di riscaldamento che si era rotto improvvisamente nel condominio, dei regali che aveva intenzione di fare, dell’albero meraviglioso che avrebbero preparato lei e sua sorella nel salone di casa, di un “sette” preso al compito di latino e ancora di altre cose. Simone leggeva così rapidamente che gli sembrava di saltare interi periodi, preposizioni, pensieri e che quella lettera fosse più breve di tutte le precedenti. Sotto la sua firma, Cristiana, aveva scritto “Ti chiamo per gli auguri”. Simone rilesse la lettera in ascensore, con più calma, cercando parole che prima si erano nascoste e che ora potevano comparire all’improvviso. I lettori potranno ben intuire come adesso quel “Ti chiamo per gli auguri” si andasse ad aggiungere al precedente “Ti telefono a Natale”. L’intenzione, in effetti, veniva ribadita ma non venivano aggiunti elementi di precisione. Anzi, il primo indizio conteneva una data ben precisa: “Natale”, il secondo rimaneva sul vago: “ti chiamo per gli auguri”. “Ti chiamo” pensava Simone, “si, ma quando ? Che giorno ? Allora per Natale significava entro il giorno di Natale e non precisamente il giorno di Natale ?” “E se adesso non volesse neanche più chiamarmi ?”. Ecco, avere quindici anni non è mica semplice, se intorno ad una frase, buttata là, scritta ingenuamente, magari per concludere velocemente una lettera ed andarla a spedire prima del passaggio del furgone del ritiro posta, si costruisce tutto un castello, fragile, di ipotesi. Simone era “perso in inutili battaglie con nemici invisibili”, avrebbe cantato sempre la Fiorella. Simone quel pomeriggio decise di andare al negozio di dischi. Aveva già pensato di farlo, ma quella lettera gli aveva rafforzato il desiderio. Chiese un disco di Battisti, “l’ultimo” aggiunse mentre il commesso lo guardava incuriosito. Si capiva lontano un miglio che non aveva mai comprato un disco in vita sua. Quindi rimase qualche secondo in mezzo a centinaia di vinili, davanti ad un muro di audiocassette, perché i cd nel 1990 erano ancora molto rari. “Questo è l’ultimo di Battisti” disse il commesso mostrando a Simone un vinile dalla copertina quasi completamente bianca con un disegno infantile fatto con un tratto sottile a china nera. “La sposa occidentale” lesse il titolo Simone. Non aveva mai sentito quella canzone, anzi non aveva mai sentito nessuna delle canzoni che comparivano nel fondo del disco. Simone si augurò che quelle canzoni fossero tutte belle come “Acqua azzurra, acqua chiara” o “E penso a te”, tuttavia non aveva nessun modo per ascoltarle, non poteva certo togliere la pellicola trasparente intorno al disco, sarebbe sembrato un regalo riciclato. Ed, ovviamente, nel 1990 non esisteva ancora youtube. “Bisogna fidarsi di Battisti” pensò, scrisse un biglietto di auguri essenziale e quel giorno stesso spedì il disco a Cristiana. Doveva trovare un modo per ascoltare quelle canzoni ma questo era un problema che avrebbe risolto con calma, magari comprando una cassetta di quelle “pirata” su una bancarella: ce ne erano alcune nel piazzale della stazione, ci passava sempre davanti quando tornava da scuola.

Da quel momento passarono diversi giorni, fu un tempo sospeso e tormentato: “giorni passati a combattere e lunghissime notti per recuperare”, come dice, appunto, sempre Fiorella nella stessa canzone. Nella mansarda dove viveva, Simone costruì il presepe facendo la grotta con il vecchio sughero che gli aveva lasciato il nonno, con la carta mimetica organizzò le montagne, sistemò le casette, sempre troppo sproporzionate rispetto alla grandezza dei pastori e le serie di luci che ogni anno ce n’era sempre una che non accendeva più e allora si faceva il tentativo di sostituire una lampadina alla volta per capire quale fosse quella che non faceva illuminare tutte le altre, ma alla fine ci si arrendeva e si comprava la serie nuova. Spesso Simone si fermava a pensare a Cristiana. Da quando lei gli aveva scritto di volerlo telefonare, si trattava di una sensazione nuova: lentamente il pensiero di lei si era fatto strada nelle sue abitudini, facendosi spazio tra la squadra di calcio, le interrogazioni a scuola, gli amici, il computer e molto altro. Quello era un pensiero anarchico, viaggiava senza schemi, non rispettava segnali e non si riconduceva a nessuna immagine perché Simone non aveva neanche una foto di Cristiana. La memoria faceva e disfaceva, Cristiana era qualsiasi cosa, quell’assenza comprendeva tutto. “E’ forse questo, quello che i grandi chiamano amore ?” si chiedeva Simone, mentre restava fermo, il naso incollato al vetro del balcone a fissare le luci colorate ed intermittenti fissate alla ringhiera. E questa immagine, di lui che guarda fuori, con il respiro che appanna il vetro del balcone tanto che le luci, tutte le luci del Natale non solo quelle di casa sua, si sfuocavano dietro la nuvola del fiato, e si interrogava se si fosse innamorato o no, ad essergli rimasta dentro per un tempo che ancora dura. Un pomeriggio, mancavano pochi giorni al Natale, Simone rientrando a casa si sentì chiamare dalla madre. “Hanno telefonato che ti volevano”, gli disse lei dalla cucina. La frase risuonò nel corridoio dove un paio di festoni argentati correvano dalla porta di ingresso fino a quella della camera da letto, formando brevi onde, come una funzione periodica. “Chi ha telefonato ?” chiese Simone. Il cuore accelerò improvvisamente, come quando il professore di matematica scorreva il registro con il dito per decidere chi interrogare. “Non ho capito chi fosse”.

Come non hai capito ?

Non ho chiesto

Come non hai chiesto ?

Non ho capito e poi non ho chiesto”.

Ma era una voce di donna ?”, era questa, effettivamente, l’unica domanda che andava fatta.

Si. Forse, poteva essere. Ma non sono sicura”, concluse la madre.

Ci vuole una vita per imparare” avrebbe ribadito Fiorella Mannoia, che in amore non esiste nulla di sicuro, ma, accidenti, almeno capire se aveva telefonato un amico qualsiasi o una ragazza, che poi sarebbe stata sicuramente Cristiana, questo, almeno questo. Simone si arrabbiò con la madre, eccessivamente per una cosa così banale, e mentre sentiva il nervoso crescere dentro il suo stomaco, continuava a chiedersi se anche quello facesse parte dell’amore. E se quest’amore in fondo non cominciasse a contenere troppe cose. Da quel giorno Simone limitò al massimo le uscite pomeridiane, nel pomeriggio si assicurava che il telefono non fosse occupato, ogni tanto sollevava il ricevitore per vedere se ci fosse linea. Il “tu…tu…tu…” del segnale di libero gli rimaneva nelle orecchie per alcuni secondi anche dopo che, frettolosamente, Simone rimetteva giù.

Il giorno di Natale del 1990 Simone fece le solite cose, andò a messa, fece il giro dei nonni e degli zii per dare gli auguri, incontrò gli amici davanti al mare e con loro trascorse del tempo. Prima di pranzo, con la famiglia si raccolse intorno al presepe per posare il Gesù bambino, quindi mangiò molti dolci, come sempre nei giorni di festa. Nel pomeriggio rimase accanto alla fiamma del camino per molto tempo, lesse, guardò la televisione, giocò a carte. A pochi metri da lui, poggiato sulla mensola, in un angolo della stanza, il telefono, bianco, a pulsanti neri, rimaneva muto. Per un intero pomeriggio non chiamò nessuno, neanche un lontano parente per dare gli auguri ed innescare una speranza. Alle otto della sera la casa rimase deserta, l’idea che Cristiana potesse ancora chiamarlo lo sfiorava ancora, ma dentro di sé cercava già qualche motivo per non essere deluso. In fondo Cristiana, probabilmente, aveva già chiamato quel giorno che lui non era in casa. Forse aveva persino riprovato ma magari il telefono era occupato, oppure, dopo aver provato, era rimasta convinta che sarebbe stato Simone a richiamare lei. Insomma, anche in questo caso, Simone stava valutando tutta una serie di ipotesi che prevedevano un ventaglio di situazioni pressoché infinite.

A Gennaio, poi, Simone avrebbe effettivamente comprato la cassetta de “La sposa occidentale” di Battisti, e avrebbe scoperto che non c’erano canzoni che somigliavano ad “Acqua azzurra acqua chiara” e a nessun’altra delle canzoni che conosceva lui. Chissà se i lettori sanno che quelle che Battisti cantò dopo aver sciolto il legame con Mogol, sono canzoni composte da frasi articolate e strane, e che di nessuna si può imparare il ritornello, anche perché i ritornelli neanche ci sono. Inoltre suonarle con la chitarra è impossibile. Ma siccome si era fidato di Battisti, Simone ascoltò quella cassetta ostinatamente decine di volte e ogni volta quelle strane strofe gli piacevano un po’ di più, ma non capì mai se fossero piaciute a Cristiana, né ebbe mai il coraggio di chiederglielo. Fu un argomento del quale non parlarono mai. Oggi, di tanto in tanto, “La sposa occidentale” irrompe nel silenzio del suo ufficio. Simone conosce quasi tutte le parole di ogni canzone. Ma i lettori sappiano che di quel Battisti là, di quel periodo complesso, ha imparato solo l‘album “La sposa occidentale”, per il resto è rimasto fermo ad “Acqua azzurra acqua chiara”. Ma torniamo al Natale del 1990. Simone quel giorno aveva ricevuto anche dei regali. Sono passati molti anni da allora, ma anche se fosse trascorsa una sola settimana, Simone non saprebbe dire cosa. Questa è un altro particolare che avrebbe imparato con il tempo: nessun oggetto è in grado davvero di far ricordare un pezzo di vita quanto le sensazioni, i profumi, i ricordi delle cose immateriali. Per Simone l’unica cosa che contava quel giorno era che Cristiana lo chiamasse.

Desiderava sentire la sua voce, accorciare la distanza, cercare di capire se quello era davvero l’amore, quello di cui parlavano tanto i grandi. Un dubbio che probabilmente nessuno, neanche Fiorella Mannoia qualche anno dopo con la sua canzone, gli avrebbe mai fugato. Dunque, se oggi i lettori chiedessero a Simone di raccontare un suo Natale, lui sceglierebbe senza dubbio quello. Alle otto della sera Simone pensò di uscire. Spiaccicò ancora il naso sul vetro del balcone e vide che piovigginava. Si infilò il cappello di lana in testa e prese un ombrello. Il primo squillo del telefono lo colse sull’uscio di casa, già sul pianerottolo. Impiegò un tempo lunghissimo a rientrare, mentre il telefono continuava a suonare. Furono tre o quattro al massimo, quegli squilli. Ma, era evidente, non erano squilli come tutti gli altri, non provenivano da un amico di scuola, né da un parente lontano, avevano un suono differente, che sapeva di speranze e futuro, tanto che se avesse potuto, Simone sarebbe rimasto ad ascoltarli ancora un po’. Invece lui corse veloce, senza togliersi neppure il cappotto, reggendo ancora l’ombrello. Raggiunse il telefono e alzò il ricevitore.

Buonasera sono Cristiana, c’è Simone ?”.

 

NOTE:

– La canzone di Fiorella Mannoia è “Al fratello che non ho”, contenuta nell’album “Belle speranze” del 1997. Testo e musica del brano sono di Daniele Silvestri.

– Zucchero “Sugar” Fornaciari si esibì al Palazzo dei Congressi del Cremlino, in Mosca, due volte: l’8 ed il 9 Dicembre 1990. Il secondo concerto fu trasmesso in diretta mondovisione da Rai due.

– L’album “La sposa occidentale”, il terzo della collaborazione tra Lucio Battisti con il filosofo Pasquale Panella,venne pubblicato nell’Ottobre del 1990.

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