C’è stato un tempo in cui le lotte per la tutela del paesaggio erano solo per condottieri solitari, un po’ sognatori, sicuramente coraggiosi.
Era il tempo del “boom” economico degli anni sessanta, delle colate di calcestruzzo, di interi quartieri realizzati in tempi strettissimi. Dal punto di vista normativo si tratta del periodo che precede la legge “Ponte” (che impose degli standard urbanistici) del 1967 ed ovviamente l’introduzione del regime della concessione edilizia (1977) e la legge “Galasso” per la tutela diffusa (1985). Anni in cui, in assenza (o nella perenne attesa) di piani regolatori, i costruttori mettevano le “mani sulla città”, per utilizzare la formula resa celebre dal titolo, omonimo, del film di Francesco Rosi del 1963 che narrò del sacco di Napoli.
Battaglie di retrovia che andavano condotte senza poter contare sul clamore dei social o il chiasso dei media; dove ogni briciolo di visibilità andava conquistata con rapporti epistolari, amicizie politiche e credibilità ottenuta passo dopo passo grazie alla competenza. In un agone sociale reale, non virtuale, in città come Napoli teatro sconfinato di interessi incontrollabili.
Non è un caso che proprio dell’aggressione edilizia di Napoli si occupi un libro uscito di recente edito da Rubbettino. Lo ha scritto Alessandra Caputi e si intitola “Storie di resistenza ambientale – La tutela di Napoli e della costa campana negli anni settanta”, un volume prezioso per la cura dei dettagli e l’attenzione dell’indagine.
La Caputi è una giovane ricercatrice che ha effettuato un fine lavoro d’inchiesta e d’archivio presso la fondazione Biblioteca Benedetto Croce, per scovare i documenti riguardanti le due figlie del filosofo napoletano, Elena ed Alda che, insieme all’architetto Antonio Iannello, condussero una serie di campagne storiche contro alcuni dei più clamorosi abusi edilizi (consumati o sventati) tra Napoli, la costiera amalfitana e il Cilento, a cavallo degli anni sessanta e settanta del secolo scorso.
Battaglie condotte anche con la collaborazione delle prime associazioni ambientaliste che nascevano proprio in quegli anni in risposta alle inevitabili esigenze di rappresentanza: Italia Nostra e il Comitato per la difesa culturale del mezzogiorno che ebbero il merito di riunire intorno a cause comuni numerosi intellettuali come Antonio Cederna, Roberto Pane, Giorgio Bassani, Cesare Brandi e molti altri.
Il libro della Caputi si concentra su sette questioni simbolo, cinque riguardano Napoli, con in primis il varo (tardivo ma essenziale) del piano regolatore del 1972 che mise freno all’incredibile espansione edilizia, completamente in difformità dalle previsioni, che minacciava di sventrare completamente anche il centro storico della città distinguendolo, ipocritamente, da quello “antico”.
Disfide dai risultati non sempre positivi come la costruzione dell’università a Monte S. Angelo e dell’Italsider o dove si trovò il modo di mediare: è il caso della costruzione della tangenziale, il cui percorso venne infine “traslato” per salvare le ville dello Scudillo e il parco archeologico di Posillipo.
Tra i casi, forse il più noto ed emblematico, rimane quello per certi versi paradossale dell’Amalfitana Hotel, meglio noto come il “mostro del Fuenti” nel comune di Vietri sul mare. Forse il primo edificio per cui si spese la definizione di “ecomostro”, frutto di una serie infinita di permessi rilasciati e annullati, ricorsi, ordinanze, sentenze, norme urbanistiche contraddittorie e competenze sovrapposte. Manifesto di un paese in balia di una giurisprudenza impazzita e incomprensibile. Una battaglia conclusasi con l’abbattimento della struttura (oramai fatiscente) nel 1999 e un recupero dell’area che non rende del tutto merito alla sensibilità ambientale di chi in nome di quel paesaggio si era così tanto battuto.
Il libro, con le sue precise ricostruzioni, non dimentica di sottolineare come ogni tentativo di tutela si scontrasse contro quelli che venivano argomentati come bisogni di “modernità” o di sviluppare settori quali il lavoro, il turismo o, più genericamente, la “crescita del territorio”. Motivazioni che ancora oggi vengono utilizzate da affaristi e speculatori, nonostante la cultura ambientale sia notevolmente cresciuta negli anni.
Il libro insegna che le storie di chi si è battuto contro la distruzione dell’ambiente non sono quelle di cocciuti reazionari, ma di singoli interpreti di un impegno civile che, viceversa, oggi trova concordi (finalmente, è caso di dire!) nell’apprezzamento la maggior parte degli urbanisti, architetti e intellettuali di questo territorio.
La Caputi, con l’attenzione e la sincerità delle sue ricostruzioni, compie nei confronti delle sorelle Croce e di Iannello anche un gesto di gratitudine, un omaggio alla memoria e un memorandum per il futuro.
Se Napoli non è stata ulteriormente “violentata”, se il Cilento è ancora un posto incantevole e la costiera amalfitana ha ancora qualche angolo di meravigliosa, bucolica, bellezza, molto lo dobbiamo ai protagonisti di queste storie.
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