Dicesi “nostalgia” quel particolare stato d’animo corrispondente al rimpianto malinconico di quanto è trascorso nel tempo.
Secondo una ricerca condotta da scienziati con moltissimo tempo libero, oggi la categoria più colpita dalla nostalgia sarebbe quella degli architetti. Sempre a parere degli stessi scienziati, la fascia d’età più vulnerabile è quella compresa tra i 40 e i 55 anni.
Non ne sono immuni, però, gli architetti più giovani vittime della nostalgia detta “precoce” e gli over 60, aggrediti talvolta dalla nostalgia “senile”, anticamera del rincoglionimento.
La nostalgia colpisce l’architetto in maniera improvvisa ed imprevedibile, di solito di sera mentre sta controllando un computo metrico infinito o dinanzi ad un tridimensionale di autocad; oppure durante interminabili spostamenti in auto verso luoghi dove lo aspettano geometri che si credono Frank Lloyd Wright o uffici pubblici dove, nonostante un appuntamento preciso, non troverà nessuno perché sono tutti in ferie.
Premetto che nessun architetto può davvero sconfiggere la nostalgia, quindi questa sfida è tecnicamente improponibile, l’unica difesa efficace è cercare di capirne le cause per rifuggirne.
Chiediamoci dunque: cosa scatena la nostalgia dell’architetto ?.
L’architetto può essere colto da due tipi di nostalgia.
O ritrovando suoi vecchi progetti dei tempi dell’università (nostalgia creativa), oppure ascoltando una canzone (nostalgia musicale) che gli ricorda l’estate di quando partì, in interrail, zaino in spalla per andare a visitare qualcosa tipo “La cappella Ronchamp” di Le Corbusier e, invece, finì in un rave party in un campo di girasoli dove incontrò una tipa (o un tipo) con la quale rise e bevve tantissimo ed il giorno dopo si svegliò nudo in un fosso e dovette tornare a casa in autostop e vaffanculo Le Corbusier.
In questo senso le canzoni peggiori sono quelle degli anni ’80; di gente come Vasco, i Depeche Mode, gli Europe, Umberto Tozzi, i Duran Duran o, per i casi più gravi, Albano e Romina. Temibili pure i classici da discoteca tipo “People from Ibiza” di Sandy Marton o spagnoleggianti come “Rhythm is magic” di M.C. D’Ubaldo.
Quando l’architetto è colto da nostalgia musicale nel suo studio, di solito ha un improvviso reflusso di energia vitale e balla o canta, o entrambe le cose, fino a quando i familiari non lo rimproverano o il vicino di casa chiama i carabinieri.
Se ne è colto mentre è alla guida, canta ancora più forte e balla sul sediolino fino a schiantarsi in un guard-rail.
Viceversa, quando si imbatte in un progetto degli anni universitari e viene colto da nostalgia creativa, l’architetto rimane innanzitutto stordito dalla puzza, ancora intatta dopo decenni, del foglio lucido, si commuove nel ricordo dei graphos a china 0.3 e dei trasferibili ma anche rintracciando le sue correzioni grattate con la lametta da barba.
Nei progetti universitari l’architetto riconosce pure, con grande rimpianto, quella carica avanguardista che gli animava la speranza di cambiare il mondo, mentre ora è finito a compilare moduli CILA per ristrutturazioni di gabinetti.
Di solito, accanto a questi disegni, l’architetto trova anche delle foto dove è magro(a), ha i capelli lunghi e folti (gli uomini) o il culo di marmo (le donne) e sorride in modo tanto sguaiato quanto incomprensibile.
La nostalgia creativa è più subdolamente pericolosa di quella musicale che al massimo si risolve con una querela per disturbo della quiete pubblica o con la macchina sfasciata.
Quando un architetto ne è preda, istintivamente pensa di voler mollare tutto, cambiare vita e trasferirsi su di un’isola del Pacifico, dove aprire un chiosco di gelati sulla spiaggia.
Tuttavia, se solo un decimo di tutti quelli che vogliono cambiare vita ed aprire un chiosco di gelati su una spiaggia di un’isola del Pacifico lo avessero fatto, oggi le spiagge del Pacifico sarebbero piene di chioschi di gelati e tutti gli abitanti delle isole del Pacifico si sarebbero trasferiti altrove per sfuggire all’invasione dei chioschi di gelati sulle spiagge.
E’ un proposito che, comunque, svanisce nel giro di due ore al massimo, anche grazie a quell’assaggio di “Viennetta” rancida, stipata, appositamente, nel frigo da mesi.
La seconda reazione possibile alla nostalgia creativa è un principio di autodistruzione che può concretizzarsi tramite di assunzione di alcool, il consumo di droghe leggere o, nel caso di attacchi pomeridiani, con la visione di “uomini ed donne”, anche ad oltranza con la replica serale su La5.
La terza reazione possibile è il vittimismo disperato, che si manifesta con alcune imprecazioni in genere blasfeme e degne di scomunica che possono sfociare, nel giro di pochi minuti, anche in profonde e rabbiose crisi d’identità, durante le quali, se non placato, l’architetto può persino distruggere a bastonate il computer o mettere all’asta su e-bay la sua licenza di autocad 2018 a partire da € 2,99.
Ma la reazione più frequente agli attacchi di nostalgia, che accomuna tutti gli architetti e non solo, è quella lacrima che gli scappa dall’angolo interno della palpebra e che, lentamente gli scorre sulla guancia.
Che lo rivela così, teneramente, umano.
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