Una delle cose più complicate per un architetto è farsi pagare.
Di quanto sia grave la questione, l’architetto lo percepisce preparando l’esame di stato, quando sfoglia il testo di riferimento e scopre che il primo capitolo è dedicato alle modalità di esazione degli onorari.
Da quel preciso istante, l’architetto è consapevole di quale sarà la vera sfida, vitale, che lo impegnerà per tutta la sua carriera professionale: combattere contro il “mancato pagamento”.
Spesso causa del “mancato pagamento” è l’architetto stesso che lavora senza un preciso accordo economico preventivo, tipo un contratto corredato da opportune minacce. Ovvero, lavora fidandosi.
E fa male: la fiducia in architettura è sopravvalutata.
Secondo l’Associazione Nazionale Debitori ogni anno il totale dei “mancati pagamenti” agli architetti italiani equivale al PIL della Grecia.
Architetti particolarmente rigorosi conservano l’elenco dei “mancati pagamenti” in una sorta di libro nero che custodiscono come un buono postale, e che tramandano ai figli come monito.
La giurisprudenza è concorde nell’affermare che un “mancato pagamento” non si prescriva mai. E, come un diamante, sia dunque per sempre.
Il “mancato pagamento” si suddivide in quattro categorie in ragione della causa:
- Per ambiguità.
- Per scordanza.
- Per avarizia.
- Per amicizia.
La categoria “Per ambiguità” riguarda soprattutto architetti alle prime armi, impiegati in praticantati, tirocini, part time, prove a tempo ecc.. Questi rapporti di lavoro, essendo regolati solo da fugaci strette di mano, mezze frasi e verbi coniugati al futuro anteriore, sono i principali artefici dei mancati pagamenti “per ambiguità”.
In questi casi, quando il giovane architetto, dopo un periodo di tempo durante il quale viene sfruttato come un minatore nel Belgio del XIX secolo, giunto al limite dell’arresto per accattonaggio, si arrischia a chiedere un adeguato pagamento, viene guardato dal suo datore di lavoro con spontaneo sgomento.
L’ambiguità sta tutta nell’equivoco di partenza.
Il datore di lavoro, infatti, è convinto che l’architetto lavori su base volontaria, per cortesia, beneficenza o per salvare il mondo. Alcuni datori ritengono che l’architetto debba essergli anche grato per l’occasione che gli sta offrendo e lo ritengono, perciò, un ingrato. In questo caso, quindi, sarebbe più corretto parlare non di datore di lavoro, bensì di donatore di lavoro.
Si tratta di una sfida impegnativa che è possibile vincere solo con l’esperienza.
Altrettanto temibile è la categoria “Per scordanza”.
Secondo una statistica piuttosto affidabile, è tra i clienti degli architetti che si ammassa la percentuale più elevata di smemorati della terra. Tale perdita di memoria non colpirebbe il cliente in maniera indistinta, ma solamente dopo la consegna della parcella. A quel punto, persone lucidissime, capaci di ricordarsi anche dell’ingombro esatto di un sottolavello, perdono ogni cognizione del tempo e dello spazio e soprattutto rimuovono dalla loro area cerebrale la figura dell’architetto, generando un inatteso “mancato pagamento”.
L’architetto, dopo un tempo che considera comprensibile, da inizio alla stagione del corteggiamento costellata di messaggi whatsup, email, telefonate (spesso a vuoto), finché stabilisce di passare alle imboscate. Quando l’architetto si ritrova faccia a faccia con il moroso “per scordanza”, da inizio ad una requisitoria dagli esiti imprevisti.
Contro clienti particolarmente tenaci, capaci di invocare anche la temporanea infermità mentale, l’invettiva può sfociare in un’umiliante questua, tramite la quale l’architetto prova almeno a recuperare le spese.
Questa sfida si combatte con la virtuosa pratica dell’acconto.
Il “mancato pagamento” può avvenire pure “per avarizia”. Piccoli segnali di tale inconveniente possono essere colti già nelle fasi preliminari, quando il cliente dice all’architetto “Vi va un caffè?”, l’architetto accetta ma al momento di pagare, il cliente si esibisce in una spettacolare Macàrena alla ricerca degli spicci. Oppure sfodera un “paghi lei che non ho moneta, dovrei cambiare” e poi si scopre che teneva la cinque euro. Talvolta lo spilorcio usufruisce anche dei benefici della sottocategoria “Per risultato”, cioè in caso di progetti anche parecchio elaborati, non paga fino a quando non viene rilasciata la relativa autorizzazione. In modo che il debito, con i tempi correnti della pubblica amministrazione, equivalga ad una cambiale a futura memoria.
Diverso è il caso di “mancato pagamento” per difficoltà economica. Una volta i poveri non chiamavano l’architetto, ma non ci sono più preclusioni, anche perché oggi il vero povero è l’architetto.
In queste circostanze, gli architetti, di indole sensibile, non volendo infierire, rallentano la richiesta di retribuzione, terminano i lavori, incoraggiano il cliente sostenendolo anche psicologicamente, accertandosi che non gli vengano pignorati i mobili e aiutandolo a compilare la domanda per il reddito di cittadinanza. Finché, consapevoli del suo disagio, gli praticano un generoso sconto. Architetti dal cuore particolarmente tenero non si fanno neanche pagare, anzi donano del denaro ai clienti in una busta, come ai matrimoni. Nel frattempo l’idraulico gli ha già fatto protestare quattro assegni.
La sfida con l’avaro non si vince, quella contro il povero non si affronta neanche.
Ma la categoria più temibile è certamente quella “per amicizia” affine di un’altra specie, quella “per parentela”. Infatti la figura dell’amico (o parente) dell’architetto può pericolosamente riunire tutti i precedenti generi. L’amicizia è una naturale generatrice di ambiguità, che a sua volta origina una forma di “scordanza” folkloristica, produttrice di connaturata pidocchieria. L’amico ed i parenti dell’architetto si sentono automaticamente suoi donatori di lavoro, con l’aggravante di ingenerare nell’architetto, che intenderebbe addirittura farsi pagare, terribili sensi di colpa.
Amicizie trentennali sono state distrutte dall’invio di una parcella professionale.
La sfida si vince litigando con tutti gli amici e disconoscendo i parenti fino al quinto grado.
La sfida col “mancato pagamento” è talmente impegnativa che nientemeno il legislatore ha deciso di intervenire stabilendo che nessuna documentazione possa essere inoltrata senza la prova dell’avvenuto compenso.
Ma i clienti dell’architetto stanno già elaborando la controffensiva.
Affinché la sfida continui.
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