I quarant’anni sono arrivati così.
Quasi all’improvviso: mi sono distratto che ne avevo trenta.
Ho fatto un po’ di viaggi in giro, non ho incontrato molta gente, né avuto amici nuovi, non ho fatto molti guai: così, silenziosamente, sono arrivati i quarant’anni. Quando ci pensavo anni fa, mi sembrava un numero molto grande, una cima dalla quale poter perdere l’equilibrio e cadere giù.
Poi, in un giorno qualsiasi, facendo cose normali, mentre aspettavo passasse la vita dal mio binario, sono giunti. In compagnia di chi mi ha voluto sinceramente bene, sono arrivati così. Non era un traguardo, non c’erano nastri da tagliare, né valigie da riempire. Avrei voluto solo avere dieci minuti per chiudermi in una stanza ed urlare forte una canzone, mi sarebbe piaciuto cantare, fortissimo, quella che dice “vivere, è passato tanto tempo. Vivere, è un po’ come perder tempo”. Ma non mi ci vedo più, come da ragazzino, ad urlare in una stanza, la musica ad alto volume.
E’ accaduto tutto mentre mi distraevo a pensare al passato e vivevo quello che c’era. Mentre mi chiedevo se potevo riannodare fili sfibrati, o aspettare chissà cosa ancora. Talvolta concentrato sul futuro, troppo spesso impegnato ad organizzare il presente. Riascoltando la vecchia musica, prendendo in prestito pomeriggi di noia, ogni tanto, per salvarsi dalla nostalgia; pescando dal fondo del secchio ogni singola goccia di coraggio. Macinando chilometri sotto le suole delle scarpe o con le gomme dell’auto. Sempre di corsa, sempre con la paura di non fare in tempo. Così è accaduto tutto.
Mentre rimandavo le cose importanti, che ho sempre pensato che ci sarebbe stato sempre il tempo per farle, che tanto sarebbero venute da sole. Che poi ho finito per non capire più bene quali erano le cose che aspettavo e se c’era un posto preciso per cercarle (poi: chi può stabilire davvero quali siano le cose importanti nella vita ?).
Guardando occhi belli, stringendo le mani, innamorandomi, disperandomi, guardando film al cinema, sognando ad occhi aperti, su aerei che non vanno mai troppo lontano e guardando albe o tramonti che vorresti non finissero mai. Però ho vissuto e non ho mentito e se detto qualche bugia ho sbagliato. La vita è qualcosa di troppo serio e i segreti sono trucchi inutili.
Mi sono lasciato andare. Non posso dire di non avere rimpianti. Tutti hanno rimpianti, bisogna solo avere l’onestà di ammettere di custodirli. Posso dire di aver vissuto e di non aver mentito. Mi sono arrabbiato troppo per cose stupide, ho trascurato qualche sogno, altri li ho presi. So che ci sono cose che non posso più fare, ma so di poterne fare di nuove. Non devo dimenticare di essere leggero, perchè se sei leggero non precipiti, o comunque se capita, ti fai male di meno.
Vorrei averne ancora trenta, di anni, questo è vero. D’altronde erano trenta un attimo fa, ma ora sono quaranta. Ma se potessi averne trenta, allora perché non ventinove, perché non venticinque ?. Ma a venticinque non ero questo che sono ora, e anche allora avrei voluto avere un’età diversa. In realtà a vent’anni volevo sempre dimostrare di essere all’altezza, a trenta mi preoccupavo dei giudizi, a quaranta chissenefrega. E’ il menefreghismo della consapevolezza. Mi scoccia, questo si, ascoltare canzoni e sapere che non parlano (e non parleranno più) di me. Così come ci sono cose che non possono più accadere, per un rigido calcolo matematico. L’anagrafe non è un guanto: non puoi indossarlo; piuttosto è l’età che indossa te.
Sulla felicità non dico niente, anche se ho imparato molte cose. Quando osservi i giorni da una certa distanza però tutto sembra più chiaro, anche la felicità. Vorrei dirlo a chi ha vent’anni meno di me.
Non ho pianto, credevo di farlo invece ho sorriso, non ho fatto promesse, ho aspettato che finisse il giorno.
Sono stato bravo: ho tenuto l’equilibro.