Bisogna pur andare, giungere, in un posto, per poter ripartire. Ritornare.
A consumare le suole son bravi tutti, a muoversi senza correre, a guardare senza osservare.
Se quest’uomo si svegliasse senza più muri alle spalle, né niente ai lati, solo un davanti avanti a sé. La minaccia dell’ “o la corsa o la vita”, come canna di pistola puntata sulla tempia. L’uomo che ha visto le vita bruciarsi, come l’asfalto brucia al sole e la strada sfila via come una lunga garza sulle ferite del pensiero. Che soffia sulla vela della morte e la spinge via dopo il mare, dietro le isole. Che affonda le ceneri, le zavorra, se tornano su.
Isole che sono più vicine del mare che le contiene, non fatte di terra e cemento, isole di traguardi, macigni, chilometri da contare, pietre miliari da svoltare. Ricordi, dove siamo già stati. Se già prim’ancora di partire, all’inizio del viaggio, ogni isola è già dentro di noi.
L’uomo che su un’isola sta. Aspettando il “via”. Solo, tra amici di monitor e paure che non può spiegare. Tra parole che non sa dire, che non hanno parole per parlare. Ci vuole coraggio per andare e arrivare, affogare il respiro, controllare le piaghe sui piedi, mettersi di traverso al traffico del tempo, fermare le gambe, disporre i piedi perpendicolari al mare. Affrontarne il giudizio. Bussare per non entrare.
E in fondo un quadro è solo un trucco, un ricettario di domande che tutte insieme sono una sola risposta.
E dietro ogni cancello c’è solo il mare, niente terra e cemento.
Dove l’uomo è libero. E’ oltre.
Dedicato all’amico Antonio. Uomo, medico, pittore (in occasione di OL3 – mostra pittorica – Minori 11-19.07.2015)
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