Chi ha studiato la materia “urbanistica” non può non aver letto, o perlomeno sfogliato, un testo caposaldo della letteratura dedicata. Mi riferisco al saggio di L. Mumford “La città nella storia” edito nel lontano 1963 eppure ancora così strettamente attuale. In difesa di una riconosciuta identità della città, il saggista del New Jersey, scriveva: “Per assicurare il flusso continuo del traffico, persino nelle zone rurali si progettano immensi incroci a quadrifoglio e curve ad ansa che assorbono ulteriori spazi liberi (…) Gli edifici crescono disordinatamente sul massimo di area fabbricabile possibile tra parcheggi sempre più vasti e numerosi man mano che cadono in disuso i mezzi di trasporto collettivi”.
La crisi della città contemporanea, (argomento rilanciato peraltro dalla biennale di architettura in corso a Venezia), nasce proprio dallo sfaldamento dei suoi stessi confini; complice la moltiplicazione delle linee di trasporto (di uomini e merci) che fanno di ogni periferia, di ogni campagna, un’appendice della città stessa fino ad incontrarne un’altra identica e fondersi in un continuo spazio urbano (ma sarebbe meglio dire “antiurbano”) spesso senza nessuna qualità. La variabile spazio-tempo, esplosa in tutti i suoi aspetti, alimenta il dibattito urbanistico non solo delle città ma anche dei piccoli centri. Nel tentativo di abbattere i tempi di percorrenza degli spazi tra i centri abitati, la politica può cadere nell’errore di operare scelte contraddittorie e poco lungimiranti.
Ogni grande città negli ultimi anni ha provato a ridisegnare il proprio sistema di viabilità: pedonalizzazione di aree urbane, moltiplicazione delle linee metropolitane, delocalizzazione degli uffici, incentivi all’uso dei mezzi pubblici. La grande sfida dei governanti dei nostri spazi urbani è migliorarne la vivibilità decongestionandone il traffico, magari ascoltando la saggia profezia dello stesso Mumford per cui: “(…) non può esistere una rete di trasporti adeguata, se è in funzione di un solo mezzo di locomozione, per quanto alta possa essere la sua velocità teorica“.
Sono cominciati nella primavera scorsa i lavori per la costruzione del parcheggio “Luna Rossa”, un enorme galleria di 150 metri in roccia all’ingresso di Amalfi. Nella cavità ricavata troveranno posto 204 box auto e 30 per le moto (fonte: Ecomagazine n°2 Maggio 2006) in parte privati, più attrezzature e collegamenti alla soprastante via Nova e a piazza Municipio. Quando nel nostro territorio si riescono a convogliare così tanti soldi pubblici in genere è una buona notizia, è evidente che 200 posti auto in più significa molte più persone in giro per Amalfi con relativi benefici agli esercizi commerciali, maggiore facilità di raggiungere il centro costiero anche per chi vuole usufruire degli uffici, ma anche per i residenti sarà più comodo parcheggiare un automobile, tutti elementi positivi. L’iter burocratico del progetto “Luna Rossa”, ha viaggiato con il vento in poppa (mai metafora fu più appropriata), approvato con una provvidenziale variante al piano territoriale, a suo sfavore non si è udita mai una sola voce di dissenso; non quella di un politico, né di un architetto, ma neppure una qualsiasi delle numerose associazioni ambientaliste, (e ci sarebbe anche un ente parco dislocato in zona), così attente, ad esempio, all’impatto ambientale dell’auditorium di Niemeyer, ha provato ad esprimere un parere contrastante, o almeno qualche perplessità, su un progetto che a parte l’enorme effetto ambientale (innegabile), è partorito secondo una logica territoriale che solleva dubbi nel principio sul quale si fonda.
Credo sia innanzitutto utile ricordare che, da anni, in costiera amalfitana le uniche cubature che si realizzano sono quelle risultanti dalla vecchia “Legge Tognoli” del 1989, che rende lecita la costruzione di box auto come pertinenze alle abitazioni secondo un rapporto tra cubature dell’immobile abitativo e il nascituro ad uso garage. Cubature da creare interrate, svuotando terrazzamenti o sbancando roccia, purché poi si ricopra il tutto con un pò di terreno vegetale buono per la crescita delle orchidee (nel migliore dei casi). Da qui il logico fiutare dell’affare “box auto” da parte di chi proprietario di fondo agricolo a quota stradale, incolto e inedificabile, tramuta un “tot” di poco redditizio terreno in una rendita certa. La dimostrazione è che ad oggi, in costiera amalfitana, l’unico investimento praticato (e consigliato) è il fitto di posti auto, (il prezzo dei locali strangola i commercianti in affitto e l’apertura di nuova partita iva si configura alla stregua di un suicidio).
La legge, applicata in un territorio così sensibile, ha subito quindi una deformazione della sua logica (comprensibile: quella di eliminare le auto dalle strade), trasformando negli ultimi 15 anni la costiera in un enorme “Emmental” senza peraltro risolvere minimamente il problema del traffico né tanto meno quello del parcheggio, anzi probabilmente peggiorandolo. “Luna Rossa” non è altro che il mutarsi di questa deformazione legislativa in politica territoriale. E sia chiaro che questa interpretazione prescinde dalle lodevoli intenzioni degli amministratori e dalla buona fede dell’idea; è del principio che discutiamo.
“Luna Rossa” è una scelta urbanistica con il “respiro corto”, probabilmente anacronistica, fosse stato creato 20 anni fa il contesto sarebbe stato differente. Oggi l’automobile non è più un bene di lusso, diamo ai cittadini la possibilità (materiale ed economica) di sostenere più auto e ogni famiglia avrà un auto a componente. “Luna Rossa” non risolverà, nel lungo termine, il problema parcheggio ad Amalfi e produrrà una serie di controindicazioni sul territorio costiero. Rischia di essere una grande opera isolata poichè non integrata a monte con una serie di infrastrutture adeguate, rischiando quindi di collassare sotto il peso delle sue stesse buone speranze.
Quali strade percorreranno queste auto ?, di quali e di quanti servizi usufruiranno ? E, aggiungerei, dove faranno il carburante visto che da Gennaio la costiera non avrà più neanche l’unico distributore finora esistente ? Non sono certo che qualcuno si sia posto seriamente queste domande. Ma ciò che stupisce è la mancanza di programmazione territoriale a sostegno del progetto. Fino a quando i comuni della costa d’Amalfi penseranno di poter risolvere i propri problemi strutturali agendo singolarmente, commetteranno degli errori.
La costa d’Amalfi ha bisogno di un piano di trasporto unitario (magari alternativo all’automobile). Un progetto che individui con chiarezza il target al quale si rivolge (che tipo di turismo inseguiamo ?) e che crei quindi le condizioni per favorire degli investimenti a supporto. Il concetto secondo il quale costruendo più parcheggi (peraltro sbancando terreno agricolo o roccia) si risolvano i problemi del traffico è defunto da tempo. Mi ricorda, sinistramente, l’idea della stolta massaia che spazza lo sporco dal pavimento nascondendolo sotto il tappeto. Un tappeto (il territorio) quello della costiera già ingolfato da troppo sporco e “depresso” da un’economia vicina al decesso. Gli agricoltori si sono trasformati in parcheggiatori livellando terrazzamenti, i più fortunati hanno edificato baracche condonandole in bed and breakfast, riinventandosi albergatori. Il risultato è un pessimo messaggio sia per l’economia che per l’architettura del territorio.
La costa d’Amalfi oggi, a mio parere, non ha bisogno di gallerie con centinaia di box auto, piuttosto di un piano di trasporti flessibile ed innovativo. Strategie che già esistono, come il “car pooling” (più passeggeri diretti nello stesso luogo in una sola auto), “car sharing” (noleggio a tempo di auto che si spostano da un punto ad un altro e che vengono utilizzate a turno da chi ne ha bisogno), il trasporto collettivo a domanda (percorsi e numero di veicoli in base alle esigenze), senza dimenticare la possibilità di usare finalmente con decisione le vie del mare e di razionalizzare il trasporto delle merci, delocalizzando gli uffici (forme di e-commerce) e le produzioni che sono obbligate ad usufruire di grosse quantitativo di materiale trasportato su gomma (inconcepibile il passaggio di tir sulla statale costiera !).
Il rilancio economico e turistico di un territorio così sensibile passa attraverso una pianificazione territoriale unitaria (ma quanti enti inutili abbiamo ?!) che guardi coraggiosamente al futuro; tramite infrastrutture coerenti con il paesaggio, tutela delle risorse ambientali presenti, riqualificazioni architettoniche (finalmente) contemporanee, valorizzazione dell’imprenditoria locale, aumento della qualità dei servizi di accoglienza. Sono queste le “opere” delle quali vorremmo sentir parlare, non dell’ennesimo scavo da trasformare in parcheggio.
(Articolo apparso sulla rivista “Ecomagazine” – n°4/2006)