Le cronache raccontano che Albert Einstein fosse un pessimo studente. Che abbandonò il liceo e fu molto pigro prima di dedicarsi agli studi di fisica. Certamente se si fosse laureato in architettura e avesse fatto, anche per poco tempo, l’architetto, le sue teorie sulla relatività sarebbero state differenti. In particolare la curvatura del tempo gli sarebbe apparsa più morbida e flessibile, e le sue formule non così lineari ed immediate.
Pochi sanno, perché nessun architetto è anche un affermato fisico, che nel comportamento degli architetti la deformabilità dello spazio-tempo assume caratteristiche uniche, tanto da mettere in discussione alcuni caposaldi sui quali si sostiene tutta la fisica contemporanea. In particolare attraverso il comportamento speciale che il tempo assume nei confronti dell’architetto e viceversa, nasce un teorema di grande rilevanza sociale.
Einstein si è limitato ad osservare che laddove la forza gravitazionale è maggiore (al livello del mare) il tempo scorre più lentamente; certo è vero, ma non basta. Dopo anni di osservazione e la pratica di alcuni esperimenti, si è verificato che a tale principio va aggiunta la notazione che il tempo, se è quello che un architetto mette a disposizione di altri, scorre, nella maggior parte dei casi, più velocemente.
In realtà la scienza è ancora indecisa, poiché non riesce a comprendere se è il tempo dell’architetto ad andare più rapido o quello di tutti gli altri che lavorano con lui che vada più lentamente. La base di tale principio è la suddivisione del genere umano in due categorie principali: gli architetti e gli interagenti, ovvero le persone che interagiscono con gli architetti, ovviamente questi soggetti possono venire a contatto con lui per molteplici motivi: amore, famiglia, sport, casualità ecc., tuttavia il teorema dello spazio-tempo architettonico prende in esame la misura del tempo quando un architetto ed un suo interagente vengono a contatto per motivi di lavoro.
Prima di proseguire con il lato più prettamente matematico del problema va sottolineato che vi è anche una componente strettamente finanziaria riguardante il tempo dell’architetto, cioè che questo non ha nessun riscontro economico. Ovvero l’architetto può naturalmente perdere qualsiasi quantità di tempo, espressa in minuti, ore o mesi, senza che gli venga riconosciuto nessun premio in denaro, ma questo è un argomento che affronteremo quando parleremo di economia.
Per spiegare il teorema dello spazio-tempo architettonico proviamo ad eseguire il seguente semplice esperimento: provi un architetto a dare un appuntamento ad un soggetto interagente (poniamo, ad esempio, un artigiano) in un luogo facilmente raggiungibile, equidistante dai relativi domicili (o da qualsivoglia punto di partenza) di entrambi, poniamo venti minuti a piedi con camminata lenta, in un qualsiasi giorno feriale.
Si lanci l’esperimento e si osservi che: l’architetto raggiungerà il luogo prestabilito in circa venti minuti, ovvero in quello che viene chiamato “Tempo stabilito “Tµ”, con sforamenti assolutamente tollerabili dovuti a fattori imprevisti quali incontri inaspettati, soste per osservazione vetrine, lettura manifesti funebri ecc;. Viceversa l’artigiano interagente, essendo un mastro fabbro, inspiegabilmente, giungerà in notevolissimo ritardo, impiegandoci un tempo maggiore, che sarà pari al Tempo stabilito “Tµ” (ovvero quello ci impiega l’architetto) moltiplicato per un fattore detto “della pazienza” (φ) che è funzione del ruolo dell’interagente ed è quindi un valore tabellato variabile tra 1,2 e 3,5. Il valore ottenuto verrà chiamato Tempo architettonico (Tarch).
La formula matematica è dunque la seguente:
Tarch= T µ · φ (Primo teorema dello spazio-tempo architettonico)
Riassunto nel postulato: “Il Tempo architettonico (Tarch) misurato in minuti è uguale al valore del tempo stabilito (T µ), moltiplicato per un fattore detto “della pazienza” (φ)”
Solo a titolo di esempio ecco alcuni valori tabellati del fattore della pazienza (φ) in relazione al tipo di interagenti:
Tipo di interagente |
φ |
Committente indigente | 1,2 |
Artigiano semplice | 1,5 |
Artigiano specializzato | 2,1 |
Capomastro | 2,2 |
Ingegnere | 2,4 |
Committente ricco | 3,25 |
Funzionario pubblico | 3,4 |
Il valore del Tarch è un elemento fondamentale per la vita lavorativa dell’architetto in quanto la differenza tra il Tempo stabilito e il Tempo architettonico, è quello che viene comunemente chiamato “attesa” che indicheremo con il simbolo ∆.
∆At = T µ – Tarch
Ovviamente nel caso in cui il valore di At risulti negativo, l’attesa sarebbe a carico del soggetto interagente, evento che gli scienziati ritengono impossibile.
Il calcolo del tempo architettonico non vale solo per appuntamenti di lavoro, ma anche per commesse, evasione di pratiche burocratiche e piccoli ritocchi che notoriamente bloccano il cantiere per settimane.
A conferma del teorema dello spazio-tempo architettonico si può condurre anche un secondo esperimento, per avere la prova che il tempo per l’architetto scorra più veloce. Si tratta dell’esperienza legata alla presentazione di un progetto entro un certo termine, fissato, con larghissimo anticipo, anche mesi prima. Nonostante i crono programmi, le attenzioni e i weekend in studio, inspiegabilmente l’architetto si accorgerà solo negli ultimi tre giorni di essere in clamoroso ritardo e quindi sarà costretto a lavorare anche di notte per rispettare i tempi per la consegna. Questo inconveniente è legato ad inspiegabile accelerazione del tempo in prossimità della scadenza, fenomeno fisico con il quale gli architetti si confrontano già all’università in occasione degli esami di progettazione. Dalla formulazione matematica ancora ignota, il fenomeno dell’accelerazione del tempo in prossimità della consegna è un vero dilemma per gli scienziati di tutto il mondo che, nonostante l’impegno, non ne hanno ancora scoperto la causa ne tantomeno trovato il rimedio.
La conclusione morale, infine, che si può trarre dal teorema dello Spazio-Tempo architettonico è che la vita dell’architetto, come quella di tutti i puntuali, è “un inferno di solitudini immeritate” (cit. S. Benni).
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