I fatti di cui vi narro avvennero all’interno di un appartamento al terzo piano di un condominio di una isolata cittadina di provincia, laddove un mattino, presumibilmente intorno a mezzogiorno, si persero improvvisamente e completamente le tracce di una donna.
Fu il marito a denunciarne la scomparsa rientrando a casa nel pomeriggio e non rintracciandola nonostante tutti i suoi effetti personali fossero nell’abitazione.
L’uomo comprese immediatamente che si trattava di una sparizione anomala ed allertò le forze dell’ordine. I carabinieri che svolsero i primi rilievi osservarono che la porta d’ingresso non presentava segni di effrazione. Nessuno aveva visto uscire la donna dallo stabile e la telecamera di sorveglianza, posta nell’androne, non ne aveva registrato il passaggio.
L’uomo raccontò come al suo rientro avesse rinvenuto la casa assolutamente in ordine. Con l’unica eccezione delle porte della cabina armadio, che aveva trovato stranamente spalancate.
Tuttavia la cabina armadio non presentava anomalie. Pochi giorni prima la donna aveva anche postato su un suo profilo social una foto dell’interno. Da quell’immagine era stato possibile verificare come non mancasse nulla. Gli abiti, le scarpe e gli accessori erano esattamente al loro posto.
L’episodio suscitò sgomento nella cittadina, la comunità era profondamente legata alla donna che, almeno apparentemente, non aveva nessun motivo per sparire.
“Sembrava così felice” ribattevano concordi i concittadini a qualsiasi potenziale perplessità.
Le ricerche durarono circa due settimane, dopodiché furono sospese.
Il marito, ritenuto chiaramente il maggiore indiziato, espose un alibi inattaccabile confermato anche dagli agganci alle celle telefoniche e dalle testimonianze dei suoi colleghi di lavoro.
I carabinieri furono costretti ad archiviare il caso come “allontanamento volontario”.
Questa ricostruzione, tuttavia, non fu ritenuta sufficientemente esauriente.
Sollecitato dai parenti della donna e dal clamore suscitato dal caso, il giudice decise di disporre indagini suppletive. Si approfondirono così i rilievi scientifici già condotti sull’abitazione.
Si stabilì, senza margine di errore, che le tracce della donna conducevano fino alla cabina armadio posta in camera da letto e là terminavano. Questo giustificava in qualche modo che le porte fossero state trovate aperte.
La cabina armadio fu esaminata a lungo, le tracce organiche raccolte al suo interno però riconducevano sempre e solo alla donna. Nessun estraneo vi era entrato. Tuttavia tutto lasciava intendere che in quella cabina armadio ci fosse la chiave per risolvere l’enigma.
Le indagini su quello che fu ribattezzata “L’incredibile storia della cabina armadio” andarono avanti alcuni mesi e il caso finì sui giornali, la cittadina raggiunse una macabra popolarità. Giornalisti della carta stampata e troupe televisive si aggiravano per le strade in cerca di scoop.
Dopo la diffusione dei rilievi scientifici, la cabina armadio fu oggetto di numerose e ripetute attenzioni. Il giudice chiese persino il suo sequestro.
Nel frattempo la vita privata della donna e della coppia in generale venne scandagliata fin nei minimi particolari. Non emerse nulla. I due non nascondevano relazioni clandestine né altri segreti.
I genitori della donna rilasciarono un’intervista ad un noto quotidiano nella quale ne elogiavano l’attaccamento ai valori della famiglia.
Si scoprì invece che avevano sconsigliato alla figlia di realizzare una cabina armadio in camera da letto. “Era senza dubbio meglio un armadio tradizionale in corridoio” disse la madre tra le lacrime.
Riguardo alla cabina armadio, alcuni amici della coppia confermarono che la donna avesse una notevole quantità di vestiti e calzature e che, per questo motivo, aveva sempre desiderato possedere una cabina armadio, possibilmente in camera da letto.
A seguito del dissequestro, la troupe televisiva di un noto programma che si occupa di persone scomparse si recò sui luoghi per effettuare un servizio sul “mistero della cabina armadio”. L’inviato delle tv locale uscì ed entrò più volte dalla cabina armadio insieme al cameraman.
Una volta dentro fece risuonare le pareti di cartongesso bussando con le nocche, forse alla ricerca di qualche passaggio segreto.
Quindi lasciò spazio ad uno scienziato che grazie ad un particolare tester misurò l’intensità dei campi elettromagnetici all’interno della cabina armadio, senza rilevare niente di particolare.
Ma questo non scoraggiò gli autori del programma televisivo: in una puntata successiva la cabina armadio fu esaminata da un sedicente santone indiano che, viceversa, disse di avvertire al suo interno la presenza di entità sovrannaturali.
“Mujhe ajeeb oorja mahasoos hotee hai” ripeté più volte fissando la telecamera, come posseduto. Che vuol dire: “Avverto come una strana energia” in lingua Hindi.
A quel punto una delegazione di produttori di cabine armadio chiese di intervenire e si scagliò contro quella che venne definita una campagna mediatica “terroristica”.
Più tardi si venne a sapere che quell’uomo non era un santone ma un impostore che non aveva nessun potere particolare: vendeva rose ai semafori.
Nel frattempo le vendite delle cabine armadio erano crollate.
In particolare, nella cittadina si susseguirono casi di demolizione di cabine armadio. Alcuni, terrorizzati dall’entrarci, le fecero murare senza nemmeno svuotarle.
Un conclave di telecinetici suppose che approfittando di particolari condizioni atmosferiche, in quella cabina armadio si fosse aperto un varco, una sorta di tunnel spazio-temporale in grado di risucchiare chiunque avesse avuto la sfortuna di entrarci. Gli studiosi, valutando la sfericità della terra, calcolarono che tale eventuale cunicolo partendo dalla camera da letto della donna, se rettilineo, potesse sbucare in mezzo all’oceano Pacifico meridionale o, al massimo, dalle parti della Nuova Zelanda.
Ai telecinetici fece eco la comunità dei sensitivi che obiettò sulla linearità dimensionale del tunnel.
Entrando nel varco della cabina armadio la donna sarebbe stata, infatti, catapultata in un’altra dimensione, una specie di pianeta parallelo, dal quale sarebbe potuta tornare indietro solo entrando in un’altra cabina armadio in grado di aprire un nuovo varco, uguale e contrario.
Una rivista dedicata ai fenomeni paranormali uscì in edizione speciale titolando in copertina “Un buco nero nella cabina armadio”. L’articolo provocò una serie di energiche reazioni. La comunità scientifica bollò come “incredibili assurdità” tutte queste supposizioni.
Viceversa alcuni presunti esperti di psicocinesi dissero che, tutto sommato, scomparire in una cabina armadio fosse un evento “possibile”. Lo sostenevano da anni. Però occorreva desiderarlo intensamente e concentrarsi molto.
A sostegno di questa tesi diffusero una statistica secondo la quale sarebbero centinaia, in tutto il mondo, le persone che ogni anno scompaiono senza lasciare traccia, non solo nelle cabine armadio ma anche negli ascensori, nei camerini dei negozi di abbigliamento nei centri commerciali e nei bagni dei cinema.
Un giornalista raccolse la testimonianza di una conoscente della donna che raccontò che un giorno durante una lunga fila alle poste, evidentemente stressata per l’attesa, l’aveva sentita dire che “desiderava scomparire”.
Dinanzi alle insistenze della giornalista, la donna aveva precisato che “comunque sono cose che si dicono” ma oramai «la frittata» era fatta.
A seguito di quell’intervista una giovane donna si propose volontaria per provare a scomparire in diretta tv nella stessa cabina armadio. La trasmissione fu seguita da milioni di telespettatori. Gli spot pubblicitari venduti per cifre spaventose, come per una finale dei campionati del mondo di calcio.
L’esperimento, però, si rivelò un autentico «flop». La donna entrò nella cabina armadio più volte senza che accadesse nulla.
Dopo quel fallimento, i riflettori sul caso iniziarono a spegnersi. Finché scomparve dalle pagine dei giornali e dal palinsesto televisivo.
Tuttavia in quel periodo avvenne uno strano fenomeno: ci furono persone che tentarono volontariamente di scomparire utilizzando cabine armadio. Donne depresse, uomini stressati dalla vita matrimoniale e adolescenti in crisi esistenziale. Anche persone che avevano commesso dei reati o assediati dai debiti: quel presunto “mondo parallelo” gli offriva incredibilmente la possibilità di rifarsi una vita.
Nel frattempo, sfinito dalle polemiche, l’uomo decise di vendere la casa. Venne acquistata da una coppia di medici svizzeri che, nonostante fossero all’oscuro di tutto, fecero subito rimuovere la cabina armadio. Tuttavia il fatto non sorprese: le cabina armadio in Svizzera sono davvero poco diffuse.
A quel punto la vita nella cittadina tornò alla normalità: nessun’altra troupe televisiva si collegò mai più da quei luoghi che tornarono ad essere ignorati, com’era sempre stato.
Progressivamente, pure le vendite delle cabine armadio tornarono a salire, alcuni decisero di rimontare le dismesse, altri riaprirono quelle che avevano deciso di murare. Gli architetti tornarono a proporla come soluzione “salva spazio”.
Non tutti hanno rimosso questa storia. Alcuni ne conservano memoria e ancora si domandano se sia davvero possibile finire in un tunnel ed essere catapultati improvvisamente in un luogo assolutamente distante o addirittura in un’altra dimensione. Per molti si tratta di un incubo, per altri di un’opportunità.
Nel frattempo il marito della donna scomparsa si è legato ad una nuova compagna alla quale non ha detto nulla di preciso su quanto gli è accaduto. In ogni caso, quando hanno deciso di andare a vivere insieme, alla richiesta della nuova convivente di realizzare una cabina armadio in camera da letto, ha risposto: “meglio di no”.
Questa storia potrebbe avere un finale logico se, improvvisamente, si scoprisse che la donna non fosse scomparsa nel nulla ma che avesse semplicemente trovato un modo di scappare senza lasciare tracce, depistando qualsiasi tentativo di indagine.
Avvallando l’ipotesi iniziale dei carabinieri.
In questo caso non si tratterebbe di “mistero” ma solo di un abile piano, ben riuscito, messo in opera dalla donna per far perdere le proprie tracce e cambiare vita.
Ma, ahimè, non è così.
L’altro giorno, per puro caso facendo zapping sulla tv satellitare, ho visto un servizio sul canale anglosassone BBC: una donna raccontava di essere arrivata in quella cittadina attraverso un cunicolo apertosi improvvisamente nella sua camera da letto.
Mentre sceglieva che abiti indossare, il pavimento si era sbriciolato aprendo sotto ai suoi piedi un cratere nel quale era inevitabilmente caduta, continuando a scivolare in una ripida discesa, al buio, per un tempo incalcolabile, finché aveva intravisto un bagliore in lontananza.
A quel punto non era riuscita più a tenere gli occhi aperti e aveva perso i sensi.
Si era risvegliata su un prato, a pochi metri dalle sponde di un lago, in una stagione completamente differente.
Non sapeva dov’era finita, non ricordava null’altro della sua vita precedente e, ovviamente, non parlava la lingua del posto.
Così ha dovuto arrangiarsi e ricominciare tutto daccapo.
Dopo alcuni anni di comprensibile smarrimento, ora aveva deciso di rivelare la sua incredibile storia.
Ma, ovviamente, nessuno le aveva creduto.
Si trovava a Wellington, Nuova Zelanda.