Ogni tanto vado in un ufficio postale.
Scelgo un ufficio lontano da casa, dove non mi conosce nessuno.
A volte vado anche in banca, oppure all’ufficio del gas.
Entro nella sala e mi siedo da qualche parte.
Nessuno bada a quello che faccio, comunque io non faccio niente.
Sto là, guardo la gente in transito che fa la fila, discute, parla al telefono o legge il giornale nell’attesa che arrivi il suo turno.
E’ così che trascorro il tempo alla ricerca delle vite perfette.
Talvolta mi pare di scorgerne traccia in alcune donne che irrompono rumorose, vociando tra loro, sventolando bollette delle quali non le preoccupa l’importo. E, sempre chiacchierando, arrivano allo sportello e infilano la cedola nella fessura alla base del vetro. Incuranti, pagano frusciando banconote, una dietro l’altra, senza fermare la lingua.
E non si quietano neanche dopo: ancora sparlano di questo e di quello.
“Cosa dovranno mai raccontarsi di affari che non sono loro? Perché occuparsi con tanta energia delle cose degli altri?” mi chiedo.
Forse, anzi certamente, non è così perfetta la loro vita!.
Possiede forse una vita perfetta il giovane corriere in salopette, che arriva a depositare un pacco? Quali problemi possono mai affliggerlo?.
Se non avesse una vita pressoché perfetta, rifletto, non sorriderebbe in quel modo.
E non direbbe “grazie”, “mi scusi”, “perdonatemi…”.
Allora, per qualche minuto, penso che vorrei essere un corriere, di quelli che indossano le tute con il marchio colorato di una ditta esotica e consegnano pacchi che arrivano da ogni parte del mondo e nella maggior parte dei casi donano la felicità ai destinatari. Poi penso che è suo quel furgone parcheggiato maldestramente in seconda fila.
Proprio quello che, ostacolando il traffico, provoca l’ira degli automobilisti rallentati.
“peeee, peeee…” strimpellano clacson inferociti.
Allora dal viso del giovane scompare il sorriso; ansioso, chiede che gli venga restituita una ricevuta. Strepita, si agita, infine minaccia.
Ed ecco che quella sua vita perfetta, improvvisamente, non è più tale.
E’ probabile che sia perfetta la vita del direttore dell’ufficio. Un uomo sui cinquant’anni, magro, brizzolato, certamente sportivo.
Accoglie i correntisti con un sorriso. Ascolta ogni rimostranza, dispensa consigli, trova la soluzione.
Sono certo che possiede un auto coupé con la quale la domenica accompagna una donna bionda con lo smalto rosso sulle unghie delle mani ben curate, al lago. E là mangiano scampi e cannolicchi. E poi tornano a casa a fare l’amore.
E se piove, meglio ancora, non vanno al lago: rimangono a casa, tutto il giorno a fare l’amore.
E così i buoni fruttiferi scaduti, le raccomandate senza destinatario, le carte prepagate smarrite, gli scivolano addosso oscurate da cotanta sorte.
Finché inizia a squillare un telefono e lo sento urlare dalla stanza sul retro.
Sbraita, non si capisce bene con chi ce l’abbia.
Gli scappa un’imprecazione.
I presenti si guardano inorriditi.
No. Non ha una vita perfetta il direttore dell’ufficio postale!.
Ad una certa ora la fila si fa lunga: c’è tanto da guardare.
Una donna tiene in braccio un neonato avvolto in una coperta. Spunta solo la minuscola testa.
Con una mano lo tiene, con l’altra lo gioca. Sento che ride di gusto!.
“Eccola la vita perfetta! E’ là” penso.
Ma dura un minuto, la creatura prima singhiozza, poi inizia a piangere. Sempre più forte.
La donna prova a tenerlo buono cullandolo, utilizza le due mani, poi prova ad infilargli in bocca un ciuccio. Quello lo tiene qualche secondo, poi lo sputa.
Il ciuccio rimbalza sul pavimento lercio, un uomo glielo riporta.
Ora piange ancora più forte.
Tutti si sono voltati.
Qualcuno guarda la donna infastidito.
La donna vorrebbe dire “è un neonato, ha fame, gli fanno male i denti, ha le coliche, dobbiamo far presto e tornare a casa”.
Ma non può, mantiene discrezione.
Lo culla con maggiore vigore, ma senza risultati.
Le squilla il telefono: è senza dubbio il marito. Passano pochi istanti e lei perde la pazienza.
“Ora non posso” dice a voce alta.
“Potevi farlo tu!” urla.
Finché esce dalla fila e si allontana nervosa.
Questa è una vita perfezionabile, non perfetta, ragiono.
Ad una certa ora, un anziano viene a sedersi al mio fianco.
Oggi non è giorno «di pensioni».
“Dovrà sbrigare una commissione” penso.
Invece l’anziano rimane fermo al suo posto anche quando toccherebbe a lui.
Saluta alcuni, con altri scambia qualche battuta.
E se la vita perfetta fosse la sua?.
Trascorre molto tempo, rimaniamo fianco a fianco a guardare la gente andare e venire.
Ci alziamo insieme quando il direttore, ancora irrequieto, annuncia che l’ufficio sta per chiudere.
“Domani viene?” mi domanda mentre usciamo.
“Forse” rispondo.
Quando il tempo è bello cerco le vite perfette al parco.
Mi siedo dalle parti di una fontana grande.
La domenica mattina il parco è affollato. Famiglie sfilano allegre. I bimbi sfrecciano sulle bici; genitori affannati li inseguono reggendogli il cappottino.
Gli urlano: “non correre!”.
Ma i bimbi corrono. Ovviamente.
Spesso i padri sostengono figli che imparano a pedalare. Corrono accanto alle bici mentre quelli accelerano incuranti. E ridono, ridono emozionati. Vorrebbero che quel momento durasse per sempre.
Finché i figli si staccano e, crudelmente, spariscono all’orizzonte.
Vedo i padri che rimangono là, accaldati e ansimanti, assaporando la tristezza che accompagna ogni «mai più».
Venti minuti di vita perfetta, appena terminati.
Ci sono coppie di innamorati che si tengono per mano.
Procedono al ritmo di dieci promesse all’ora.
Sussurrano: «diremo», «faremo», «andremo».
Questo dicono ma ancora non fanno e non vanno che avanti e indietro, fino a quando si siedono su una panchina e si baciano per ore.
Ah, le vite degli innamorati, perfette finché dura l’amore!.
Ridono di gusto, quel gruppo di badanti dell’est, là in fondo.
La domenica hanno il giorno libero. Stanno in cerchio, vestite male come ai tempi del muro di Berlino e si scambiano frasi incomprensibili.
E ridono, di pancia, con la bocca larga quanto il viso. Sguaiate, senza ritegno.
La domenica mattina scompare la miseria lasciata in patria, i figli da mantenere e i mariti scapestrati. Scompaiono i vecchi che sorvegliano e la fatica che fanno per tenerli.
Ventiquattrore, forse qualcosa meno, di vita perfetta. Prima che torni il lunedì.
Un uomo, avrà circa la mia età, mi siede di fronte.
Legge un libro: mi accorgo che io l’ho già letto. E’ un libro meraviglioso. Gli piacerà e non lo dimenticherà mai più.
Vorrei alzarmi, raggiungerlo e dirgli: “Lo legga lentamente. Non lo sciupi”.
Pare così perfetta la vita di chi va incontro ad un’emozione.
Ma, purtroppo, quell’uomo non lo sa e per scoprirlo deve continuare la lettura; quando lo scoprirà quella perfezione sarà sparita.
Lo invidio ma resto al mio posto.
E’ mattina inoltrata, vedo auto sfrecciare sulla statale al di là della recinzione.
Passano motociclisti in libera uscita, ciclisti in gruppo; passa l’auto coupé del direttore dell’ufficio postale.
Completano un altro giro due ragazze giovanissime che fanno jogging.
Agili e belle come è bella la giovinezza. Sgambettano libere e imprendibili.
Mi sforzo per trovare un difetto, una mancanza che copra quella bellezza.
Nel frattempo mi immagino che corrano così, leggere, per sempre.
Lungo le loro vite perfette.
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