In questo periodo, sintonizzandosi a caso su uno dei centinaia di canali televisivi a nostra disposizione, è possibile apprezzare le numerose promesse che ci provengono dalla classe politica in campagna elettorale. Promettere è un talento: c’è chi sa giocare bene a pallone, chi suona il pianoforte, chi scrive belle poesie e chi è abile a promettere. Per formulare promesse, oltre al talento, ci vuole fantasia, calcolo e un pizzico di improvvisazione per le promesse istantanee, quelle che occorrono per risolvere blocchi imprevisti e fugare gli ultimi dubbi. In questo senso, è utile che gli architetti siano in grado di fare promesse per convincere i committenti più scettici e per farli sognare, almeno un po’, prima che la realtà li costringa al regolare sacrificio.
Ecco le migliori cinque promesse tipiche degli architetti, in ordine di utopia.
Al 5° posto: “… ora questa casa le sembra piccola, ma dopo i lavori vedrà come sembrerà grande”. Si tratta di una promessa che confligge con alcune leggi fondamentali della fisica ma quello dello spazio è un concetto molto caro ai clienti degli architetti che sono sempre alla ricerca di un po’ di superficie aggiuntiva da ricavare non si sa da dove. Spesso questo spazio addizionale lo deve creare l’architetto, respingendo anche alcune richieste come quella di demolire pilastri o aprire nicchie in muri portanti. Spesso tali promesse gli architetti le imparano dagli agenti immobiliari che, non si sa come, talvolta sono capaci di far passare un sottoscala per una suite.
Realizzabilità 35%: Non perché la casa si allarghi ma perché il committente durante il corso dei lavori, notoriamente lunghissimi, si dimentica di com’era prima la casa.
Al 4° posto: “il piano regolatore non lo prevede, ma conosco il geometra dell’ufficio tecnico ed in qualche modo faremo”. Questo tipo di promessa ultimamente va molto di moda, perché i piani regolatori prevedono sempre che si possano fare tantissime cose ma mai quello che desidera il committente dell’architetto. Capita poi che tra le decine di norme che si occupano della faccenda, ce n’è sempre una, in genere l’ultima della quale si apprende l’esistenza, che ne vieta l’esecuzione. Questo strano fenomeno che l’architetto conosce bene e solitamente annovera come “fatalità del destino”, lo spinge ad utilizzare spesso questa promessa per non far naufragare il progetto ancora prima che inizi. Il committente crede a questa promessa in proporzione al suo senso etico e della fiducia che ripone nello stato e nei suoi funzionari.
Realizzabile al 25%: in funzione della corruttibilità del funzionario e dell’incomprensibilità della legge, che come è notorio, per gli amici si può sempre interpretare.
Al 3° posto: “Recupereremo i materiali esistenti”. Una delle grandi fisse dei committenti degli architetti è il recupero di alcuni elementi esistenti nell’abitazione da ristrutturare. Cose insignificanti, vecchie, in alcuni casi anche molto brutte, diventano improvvisamente, nel momento in cui finalmente ce ne si potrebbe disfare, importantissime. Si scoprono dunque legami affettivi strettissimi con la carta da parati incollata nel 1978 o per le riggiole del cesso, scarti di produzione di una fabbrica fallita negli anni ottanta. A questo punto l’architetto, che distruggerebbe volentieri tutto con l’esplosivo, promette di tentare l’impossibile per salvare tutto il salvabile. In realtà appena l’architetto comunica questo desiderio al capomastro, questi lo guarda con un espressione tra lo schifo e la pietà, senza prenderlo sul serio. Quando il giorno dopo l’architetto torna al cantiere non trova più nulla. Della carta da parati non restano che tracce di colla sul muro, mentre delle riggiole solo frammenti microscopici dai quali non si intuisce neanche il più minuscolo decoro.
P.S.: Se c’è qualcosa di veramente prezioso, lo trafuga il capomastro dicendo di averlo portato a rifiuto.
Realizzabile al 15%: Solo in casi molto rari, l’architetto, tramite una guardia spietata, riesce a fare in modo che alcuni pezzi ritenuti pregiati vengano salvati dalla furia distruttrice del capomastro. In altri casi è poi lo stesso architetto, per pudore e dignità, ad ordinarne la distruzione, fingendo una dimenticanza.
Al 2° posto: “Rispetteremo il preventivo al centesimo”. Si tratta di una promessa molto ingenua che molti architetti fanno, specialmente quando hanno speso giorni e giorni per elaborare un computo metrico il più preciso possibile, per rispondere alla famosa domanda che tutti i committenti formulano quasi subito, ovvero: “quanto spenderò ?”. Gli architetti si impegnano così tanto nella stesura di questo computo metrico che, con il passare dei giorni e l’aumento dei fogli excel, finiscono quasi per crederci anche loro. Molti architetti sono pure tentati di barare, ovvero di omettere alcune voci per non rischiare che il committente cambi idea e lasci i soldi sul conto corrente o li spenda alle Maldive, invece di investirli nell’immobile. Quando poi l’architetto propone questo fascicolo di voci, unità e quantità, sa già che il cliente leggerà solo l’ultima cifra, quella del totale, quindi lo guarderà perplesso, preoccupato che quel numero sia solo un approssimazione per difetto. A questo punto l’architetto sfodera la promessa di cui sopra con una sicumera che neanche Gassman, a volte persino aggiungendo: “ma forse risparmieremo anche qualcosa”.
Realizzabile al 10%: Per fare in modo che il preventivo venga rispettato al centesimo occorra che si avverino una serie di coincidenze che vanno dalle congiunture economiche favorevoli, fino all’allineamento dei pianeti. Senza dimenticare una dose massiccia di “culo”. Per quanto riguarda quell’aggiunta “sul risparmiare”, è una cosa che si dice così, tanto per dire.
Al 1° posto: “I lavori dureranno pochissimo”. L’altro argomento fondamentale per la riuscita dell’opera dell’architetto è la durata dei lavori. Chiunque ha effettuato lavori edilizi sa benissimo che il tempo è una funzione assolutamente indipendente dalla volontà dell’architetto che solo grazie all’esperienza riesce a fare una previsione sommaria in questo senso. Tuttavia per tranquillizzare il committente, l’architetto si lascia andare a questa promessa tanto coraggiosa quanto impraticabile. In realtà nessun lavoro può scientificamente durare pochissimo, a meno di non cambiare il concetto di “pochissimo” o arrestare il “continuum spatio-temporale”. Quando si inaugura un cantiere per una ristrutturazione, bisogna abbandonarsi all’idea che si finirà in ritardissimo o, a volte, mai.
Realizzabile allo 0,001%. Tecnicamente equivale alla somma delle promesse di dare la pensione di mille euro a tutti, di eliminare le tasse universitarie, la legge Fornero, il canone Rai e il bollo auto.
Politici a parte, ci sono categorie professionali più portate per le promesse. Ad esempio gli avvocati ed, in generale, i commercianti sono esperti del ramo, per non parlare dei consulenti finanziari o dei broker. Gli architetti italiani promettono poco: negli anni settanta e fino a metà degli ottanta, promettevano di più e meglio. Ora quasi nulla, anche perché è innanzitutto il futuro che, per gli architetti, non promette niente di buono.
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