Le 10 cose alle quali gli architetti credono ancora (prima parte)

asini che volanoQuest’anno i miei nipoti hanno scoperto che Babbo Natale non esiste. Gli è stato candidamente confessato per evitare traumi pre adolescenziali o emarginazioni scolastiche. Sulla Befana non mi sono informato, credo che anche lei sia stata smascherata. Mi dispiace, ma probabilmente è giusto così, c’è un età nella quale si smette di credere a certe cose e si comincia a credere in altre in funzione degli ambienti che si frequentano, alle amicizie, al lavoro. Gli architetti ad esempio sono una delle categorie più ingenue e credulone che esistano e molti di loro si ostinano a credere in cose alle quali non dovrebbero più prestare fede.

Ecco le 10 cose alle quali gli architetti credono ancora.

1)   Ai concorsi (e ai gruppi di progettazione)– Credere ai concorsi è una delle cose più dannose, sia dal punto di vista psico-fisico che economico, che può fare un architetto. Ovviamente stiamo parlando dei concorsi italiani perché su quelli esteri non abbiamo sufficienti elementi per giudicare. In particolare questo tipo di credenza diventa più grave se non scompare con il passare degli anni e con l’esperienza maturata. In sintesi, un neolaureato ha tutto il diritto di credere ai concorsi anche in virtù di una naturale ingenuità anagrafica; tuttavia il parteciparvi e lo scoprire come vanno a finire dovrebbe consentirgli di smettere di crederci dopo un numero limitato di tentativi. Viceversa l’architetto con due decenni di pratica che ancora investe tempo e denaro nei concorsi è un paziente molto grave, che necessita di ricovero. Per quanto riguarda i gruppi di progettazione tra architetti, devo ricitare una frase che disse il mio insegnante di restauro al corso del quinto anno di laurea. “Se provate a fare un gruppo di due architetti, uno è di troppo”. E’ notoriamente impossibile, infatti, far coincidere le idee di due o più architetti a meno che uno non sia il capo. Quindi il gruppo di progettazione tra architetti in realtà è un corpo militare dove con una gerarchia precisa il capo impartisce gli ordini e la pattuglia esegue. Poi come in tutti i corpi militari ci sono gli “imboscati”, quelli che si danno per malati, quelli che non sanno fare niente, quelli che non vogliono fare niente, quelli che bisogna metterli dentro per forza e quelli che si fanno il culo e lavorano anche per gli altri.

2)   Al capomastro e/o agli artigiani che dicono di aver capito i suoi grafici – Le statistiche dicono che quando l’architetto mostra un suo grafico ad un capomastro della ditta esecutrice, questi nel 90% delle volte dirà di aver compreso perfettamente, seguirà la spiegazione annuendo più volte con il capo e talvolta indicherà con il dito alcune parti del progetto per dimostrare che sta seguendo perfettamente quanto gli viene spiegato. Sempre le statistiche dicono che di questo 90% che dice di aver capito benissimo tutto, il 75% non ha capito niente, ma niente di niente. Il 15% ha capito vagamente di cosa si stava parlando, ma poco e comunque in maniera insufficiente da poter eseguire la lavorazione, il 7% ha compreso metà delle informazioni che non gli impediranno di commettere errori anche piuttosto gravi, e, infine, il 3% ha capito abbastanza, diciamo in maniera adeguata per procedere anche se necessita comunque di un controllo efficace e continuo. Del 10% rimanente, quelli che già in principio dicono di non aver capito, vi è una quota che si aggiunge in maniera proporzionale a quelli che dicono di aver capito secondo le varie percentuali ed una piccolissima unità che in realtà ha capito ma sembrandogli strano, chiedono comunque la ripetizione della spiegazione.

Per quanto riguarda gli artigiani che di solito si trovano a dover capire dei particolari architettonici, le statistiche sono più semplici: nel 100% dei casi dicono di aver capito, e nel 100% dei casi non hanno capito niente.

3)   All’etica professionale – Gli architetti duri e puri credono, o dicono di credere ancora, nell’etica professionale. Etica è una parola poco usata in Italia, io stesso sono andato a controllare sul dizionario perchè non la sentivo da molti anni. Ho capito che è qualcosa che riguarda la morale, il bene comune, i principi, ma ho dovuto fare uno sforzo per mettere insieme questi concetti che oramai sono stati ampiamente dimenticati, direi addirittura superati. Per questo motivo l’architetto che crede ancora nell’etica professionale, è una specie in via d’estinzione, io ad esempio non ne conosco nessun esemplare vivente. Comunque da una ricerca effettuata da alcuni studiosi piuttosto autorevoli,  ecco le caratteristiche principali che l’architetto che crede ancora all’etica professionale dovrebbe avere: andare in giro con il borsello marrone in pelle, il tubo dei disegni a tracolla e la biro nel taschino. Leggere ancora Casabella o Ville e Giardini, andare alle rassegne di cinema indipendente, dichiarare sempre il vero, fare tutte le fatture scrivendole a penna, non lucrare sulle forniture, non occuparsi di condoni edilizi, mollare la direzione dei lavori alla prima difformità. Da questo si capisce come mai l’architetto che crede nell’etica professionale, dopo pochi anni si da alla filosofia o all’alcol.

4)   Alla pensione – Gli architetti avrebbero già smesso di credere alla pensione se l’iscrizione alla cassa previdenziale non fosse condizione necessaria all’esercizio della professione. E’ questo in sintesi ciò che li condiziona in maniera incontrovertibile. Avendo la possibilità di scegliere, probabilmente, avrebbero già smesso di credere alla pensione e di versare i contributi, come la maggioranza degli italiani e come d’altronde fanno altre figure professionali che godono di altri tipi di previdenza, come ad esempio la pensione dei genitori, le invalidità, le indennità, le liquidazioni, le rendite finanziarie e/o immobiliari ecc.

5)   Alle riunioni di lavoro – Spesso si sente dire, specie negli enti pubblici, domani abbiamo una riunione di lavoro alle ore tot. Si tratta, in teoria, sempre di riunioni di importanza capitale, dove andranno discussi temi di estrema delicatezza per prendere decisioni di enorme rilievo. Gli architetti che credono alle riunioni di lavoro fanno di tutto per arrivare puntuali e persino preparati circa gli argomenti di dibattito. Alcuni, almeno all’inizio, non ci dormono la notte, temono di dover rispondere a delle domande o di dover mostrare il loro lavoro ai superiori, preoccupati che una loro eventuale mancanza possa essere causa di una esemplare punizione, come la crocefissione in sala mensa di fantozziana memoria. In realtà le riunioni di lavoro sono state inventate per non lavorare, dicendo che si sta lavorando, anzi che si sta lavorando più duramente del solito perché si è in riunione. Gli architetti presto ne comprendono il senso e la notte dormono le solite 10 ore serene. Per la cronaca, al termine di una riunione di lavoro generalmente si è deciso solo quando si farà la prossima e dove si va a pranzo.

(continua…)

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1 Comment Le 10 cose alle quali gli architetti credono ancora (prima parte)

  1. Rem 12 Gennaio 2014 at 12:35

    Non so se quello che descrivi sia più divertente che deprimente, o viceversa.
    Oggi è domenica e c’è pure il sole, propendo per l’ottimismo e l’umorismo

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