Guardando quella donna con un piccolo neo sulla guancia destra, seduta dall’altra parte della scrivania, a Carmine parve di rivedere l’intera sequenza di ciò che gli era accaduto tredici anni prima.
A quel tempo Carmine aveva 24 anni e lavorava come praticante in una azienda che produceva schede elettroniche per lavatrici e piccoli elettrodomestici. Era stato il padre a spedirlo in quella ditta per “farsi le ossa”.
Il padre di Carmine aveva un grande magazzino di elettrodomestici dove, oltre le vendite, si effettuavano anche riparazioni, per questo motivo Carmine si era, prima iscritto, e poi diplomato all’istituto tecnico professionale. Quella volta Carmine aveva accompagnato un responsabile di reparto ad una grossa fiera, dove decine di produttori esponevano le ultime novità. Carmine amava andare in giro per fiere, la considerava la parte più divertente del suo lavoro di praticante.
La fiera durava due giorni. Durante il primo Carmine conobbe una delle assistenti, ragazze che in queste fiere vengono chiamate “hostess”. Si chiamava Eleonora. Era certamente più giovane di Carmine, poteva avere al massimo 20 anni, forse 19. Quel giorno non poterono scambiare molte parole. Il loro incontro fu, dunque, solo una questione di parecchi sguardi e qualche breve battuta.
Il giorno dopo, prima che terminasse la fiera, in un momento di pausa, Eleonora chiamò Carmine da parte e gli disse: “seguimi”.
Insieme percorsero un lungo corridoio all’interno di una piccola palazzina accanto all’area della fiera. Quando furono alla fine del corridoio, Eleonora aprì l’ultima delle numerose porte che avevano trovato lungo il loro cammino, e spinse Carmine dentro.
Si trovarono così in uno stanzino di pochi metri quadrati. C’erano degli scaffali, sui ripiani casse d’acqua, confezioni di bicchieri e piatti usa e getta, in un angolo una serie di tovaglie ben ripiegate poggiate una sull’altra. Su un altro piccolo scaffale metallico, in fondo, Carmine scorse dei pacchi contenenti bottiglie di spumante e alcolici. Per terra, avvolte in un telo di plastica trasparente, decine di scatole di zucchero.
Eleonora, prima ancora che Carmine formulasse una sola ipotesi sulle sue intenzioni, sollevò il lembo anteriore della gonna: “Facciamolo” disse.
Un ordine, che mentre quella donna adesso davanti a lui sfogliava un documento di vendita, risuonava forte nelle orecchie di Carmine. Gli sembrò quasi di risentirne la voce, insieme al puzzo di chiuso dello stanzino, allla sensazione di clandestinità e di angusto che provò.
“Lei è il signor?” chiese la donna quando ebbe finito di esaminare il fascicolo davanti ai suoi occhi. Carmine si era recato in quel capannone fuori città per fare un grosso ordine, la donna si occupava delle vendite, doveva essere una ragioniera o più probabilmente una commercialista. Portava un tailleur chiaro sopra una camicia azzurra. Al collo un foulard di molti colori. Calzava scarpe nere con il tacco basso, alle dita delle mani aveva alcuni anelli e al polso un bracciale che faceva rumore quando sbatteva sul vetro del tavolo.
Carmine disse il proprio nome e cognome mentre continuava a fissarle il lato della guancia dove c’era il piccolo neo.
“Le consegneremo la merce entro la fine del mese”, disse la donna riposizionando gli occhi sui fogli. Erano venti lavatrici di un nuovo modello, provenienti dal Giappone, secondo le promesse effettuavano lavaggi rapidissimi in maniera assolutamente silenziosa. Carmine fin da bambino era affascinato dalle lavatrici, in particolare dal loro cestello interno: questo luogo misterioso dove si entra sudici, si compie un viaggio vorticoso e poi si ritorna fuori smacchiati, come nuovi. Persino profumati. Il tutto nel giro di pochi minuti.
Dopo il praticantato nell’azienda di schede elettroniche, Carmine aveva deciso di continuare gli studi. Non era stato mai un alunno particolarmente diligente, ma si era appassionato alla materia, così aveva deciso di proseguire e di studiare ingegneria elettronica. A casa avevano accolto la notizia con scetticismo, ma Carmine era riuscito a laurearsi brillantemente, in un tempo piuttosto breve.
Successivamente il padre era morto lasciandogli l’intera ditta di famiglia. Carmine aveva assunto su di sé la responsabilità di alcune decine tra impiegati ed operai. Persino la madre si era stupita di così tanta applicazione. Non passava giorno che non fosse orgogliosa del figlio, anche se questi, dedicando tutto il tempo a sua disposizione al lavoro, non era riuscito mai a concentrarsi davvero su una relazione sentimentale seria e viveva ancora da solo.
Nello stanzino, tra decine di pacchi di zucchero e bottiglie di acqua gassata, Eleonora aveva scoperto quasi completamente le cosce ed aspettava che Carmine rompesse gli indugi.
“Ti sbrighi?” lo incalzò. “Non possiamo stare tanto”.
“Lo facciamo qui? Senza niente?” ebbe solo la forza di rispondere Carmine, che quando diceva “niente” intendeva senza nessun tipo di precauzione, però pronunciare parole come “preservativo” o “protezione” in quel frangente gli sembrava davvero ridicolo.
“Sbrigati scemo”, insistette Eleonora mentre provava ad abbassargli i pantaloni.
Carmine fece sesso in quello stanzino con Eleonora. Quando fu sul punto di venire, provò a staccarsi una, due, tre volte. Ma più lui provava ad uscire da lei, più quella lo tratteneva dentro di sé. Finché fu tutto concluso. Solo a quel punto lei lo lasciò andare.
Non era raro che la madre gli ricordasse che aveva quasi quarant’anni e che sarebbe stato opportuno programmare una famiglia. Che, d’accordo il lavoro, ma ci sono anche altre faccende importanti nella vita. Che poi si diventa troppo vecchi per fare i padri, e altre cose di questo tipo. Carmine fuggiva da quei ragionamenti, non aveva mai voglia di affrontare l’argomento. Tuttavia, a volte, sentiva come una specie di vuoto aprirsi da un punto non meglio definito dello stomaco, una specie di voragine che finiva per inghiottirlo. Una sensazione che ogni volta gli causava uno sgradevole capogiro, fino a tramortirlo. Un fenomeno fisico e mentale, che non sapeva come spiegare.
Nello stanzino Carmine aveva tenuto tutto il tempo gli occhi fissi sul cartellino appuntato alla giacca di lei. “Eleonora G. – Hostess”, così c’era scritto. Per questo, anche a distanza di molti anni, non aveva proprio potuto dimenticare quel nome. Leggendo e rileggendo quelle due parole aveva provato a distrarsi per durare qualche secondo in più, nella speranza di trovare, nel frattempo, il modo di staccarsi. Ma era stato un tentativo vano.
Eleonora si sistemò i vestiti in fretta e, così come lo aveva spinto dentro, spinse fuori dallo stanzino Carmine mentre ancora stava sistemandosi i pantaloni. Poi corsero verso i padiglioni della fiera, Eleonora, più rapida, sparì tra la folla di visitatori, Carmine provò ad urlarle qualcosa, ma lei non c’era già più. Tornando a casa quella sera, Carmine si sentiva addosso come una sensazione di sporco: fece una doccia ma non venne via. Quando ripensava a quel momento, ancora gli pareva di avvertire questo disagio, come fosse un dolore. O una macchia indelebile.
Da quel momento Carmine ed Eleonora non si erano mai più visti. Nessuno aveva saputo niente dell’altro, non si erano più cercati. Mai, neanche una volta.
“Per la fine del mese va benissimo” disse Carmine. Avrebbe esposto quel modello di lavatrice nel suo show room, presentandolo come una novità assoluta. Lo avrebbe offerto ad un prezzo più che competitivo battendo sul tempo la concorrenza. Solo il giorno della presentazione Carmine contava di vendere la metà dei pezzi, immaginava lo stupore del pubblico davanti al suono, soffuso, della centrifuga, l’odore di pulito che sarebbe venuto fuori aprendo il cestello. I complimenti dei suoi collaboratori.
Forse quel successo lo avrebbe persino convinto a dedicarsi con più attenzione a sé stesso. A sposarsi o, meglio ancora, a fare un figlio, anche se tutte le volte che ci pensava seriamente, Carmine avvertiva la terribile sensazione di sentirsi oramai “vecchio” per diventare padre.
Quando ebbero terminato, la donna sorrise, allineò i fogli battendoli più volte sul piano della scrivania, quindi li infilò in una cartellina e li porse a Carmine. Poi lo guardò per la prima volta negli occhi. Carmine non riuscì a tenere dritto lo sguardo, lo abbassò come se fosse assolutamente urgente inserire i documenti nella borsa.
“Prenda un nostro biglietto da visita” disse lei.
Carmine trattenne la mano, difficilmente avrebbe avuto ancora a che fare con quella ditta e, in ogni caso, era una di quelle persone che smarriscono sempre i biglietti da visita.
La donna ne prese uno e glielo porse. Carmine lo infilò in tasca, tra decine di altri biglietti, appunti, scontrini e tessere plastificate.
Quando furono ai saluti, si sollevarono dalle sedie, all’unisono, per darsi la mano.
In quel momento si udì un rumore di porta che si apriva e chiudeva immediatamente dopo: un ragazzino comparve dal fondo della stanza e si avvicinò alla scrivania. La donna seguì i suoi passi svelti con lo sguardo, finché il ragazzino le fu accanto. Frugò in un cassetto, ne estrasse qualcosa e se la infilò nella tasca di dietro dei pantaloni corti che indossava.
Carmine era rimasto con la mano aperta a mezz’aria. Come paralizzato.
“Dove vai?” chiese la donna.
“Esco” rispose il ragazzino.
“Non fare tardi”.
Il ragazzino abbozzò un sorriso, come se l’ultima frase della donna lo avesse appena sfiorato. Carmine non fece neanche in tempo a guardarlo bene in viso, che quello era già corso via.
Prima di allontanarsi, Carmine riguardò ancora una volta il neo sulla guancia della donna.
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