L’ARCHITETTO TIFOSO DI CALCIO

balillaGli architetti, lo dico immediatamente a scanso di equivoci, sono tifosi di calcio né più né meno di qualsiasi altro essere umano di cittadinanza italiana, nelle medesime percentuali. Questo per fugare ogni dubbio su un eventuale superiorità culturale dell’architetto che, secondo alcune teorie assolutamente desuete, preferirebbe discipline sportive più nobili quali il tennis, l’equitazione, il cricket o il ramino.

Inoltre, come è evidente, essere tifosi di calcio è una patologia che travalica qualsiasi barriera culturale, sociale ed etnica e che fa regredire il paziente ad una condizione sub-umana primordiale da età del bronzo.  La vera natura dell’architetto tifoso di calcio, come molti suoi simili, si ravvisa soprattutto in occasione di manifestazioni calcistiche di interesse nazionale, quali mondiali, olimpiadi o europei.

Come per tutti gli altri casi umani, ci sono due tipi di architetti tifosi di calcio: l’attivo ed il passivo. L’attivo è solito recarsi allo stadio, magari in curva, a volte persino in trasferta in torpedone mischiato a facinorosi ultras che non lo chiamano mai architetto ma con un nome di battaglia mutuato da qualche episodio capitato in passato nell’ambiente (risse, invasioni di campo, sbronze all’autogrill ecc.). Gli architetti tifosi di calcio attivi sono molto rari, in quanto tale partecipazione richiede molto tempo libero, specie nel week-end, cosa che un vero architetto non ha mai.

Il passivo invece è la figura più frequente e a sua volta si divide in due casi specifici, il passivo da appartamento ed il passivo da bar.

L’architetto tifoso passivo da appartamento (ATPA) viene riconosciuto subito dalla dotazione tecnologica che possiede in soggiorno per la visione delle partite. Divano a 5 piazze con poggiapiedi, valanga di cuscini per un comodo stazionamento anatomico, tv color schermo piatto da minimo 42 pollici con sistema audio dolby stereo surround tipo stadio, tavolinetto con ruote regolabile in altezza per il consumo di pasti anche da sdraiati. Tutto rigorosamente di design scandinavo. In fase di ristrutturazione dell’immobile, l’ATPA ha anche previsto la possibilità di isolare, sia fisicamente che acusticamente, la sala da eventuali incursioni esterne di parenti, mogli/mariti non tifosi, citofonate moleste ecc.. L’ATPA è di solito fiero della sua principesca dotazione tecnologica, tanto da invitare amici tifosi a casa a vedere la partita, meglio se già mangiati o almeno vino-autonomi.

Il vero ATPA, tra le sue mura domestiche, mantiene un contegno al massimo fino al venticinquesimo del primo tempo, al primo episodio dubbio assume un atteggiamento assolutamente incivile ed incattivito che si può ripercuotere anche sulle suppellettili di casa, nonostante il valore di queste. Segnale di questo cambiamento pressoché repentino, è l’uso anormale della bestemmia, accompagnata da eloquenti gesticolazioni degne del peggior ergastolano o del più indecente dei muratori.

Ovviamente tale comportamento, che può sfociare anche in atti vandalici, è consentito solo al padrone di casa; tranne casi particolari, infatti, il solo lancio verticale di un cuscino da parte di un ospite viene sanzionato con una pesante ammenda o con l’espulsione diretta.

A fine partita l’ATPA ritorna ad essere una persona quasi normale. In caso di vittoria gli si può persino chiedere un parere sul nuovo piano urbanistico cittadino.

Certamente più folcloristico è l’architetto tifoso passivo da bar (ATPB). Si presenta al locale pubblico sempre precisamente sul fischio d’inizio, appena dopo gli inni nazionali, per non essere costretto a fornire consulenze gratuite ai presenti che, infatti in quel momento, sono già molto concentrati sulla gara. I più attenti, comunque, segnalano agli altri il suo arrivo, accogliendolo con calore e riservandogli una sedia con vista frontale allo schermo. L’ATPB mantiene sempre un educato contegno, anche in virtù del suo ruolo e nel rispetto della sua professionalità, fin quasi a mimetizzarsi con il pubblico presente. Aplomb che si dissolve quando incautamente qualcuno gli chiede una valutazione tecnica della partita, credendo, erroneamente, che l’ATPB badi con attenzione esclusivamente agli aspetti tecnici ed estetici del gioco. Chiamato in causa nell’agone del dibattito agonistico, l’ATPB si abbassa a livelli intellettuali imbarazzanti, avanzando tesi ardite che sostiene con vivacissima dialettica e raffinato eloquio.

Chi non sa che è architetto lo riconosce dall’uso di alcuni vocaboli para-calcistici che in un bar sport sono quasi vietati, tipo: baricentro, equilibrio, parabola, verticalizzazione ecc.

Nella maggior parte dei casi l’ATPB viene sdoganato dagli avventori del bar durante l’intervallo, questo gli consente di lasciarsi completamente andare per il resto dell’incontro che trascorre in piedi bevendo birra ed accantonando la terminologia forbita.

La qualifica professionale però, gli consente di avere quasi sempre l’ultima parola specialmente in caso di interpretazioni complesse del regolamento, tipo espulsioni per “chiare occasioni da goal” o improvvisi cambi di modulo. Ancora più importante diventa il ruolo dell’ATPB quando la discussione calcistica scivola su argomenti di natura fisico-scientifica quali velocità della palla, distanza dalla porta o casi di fuorigioco dubbi con articolate letture della prospettiva televisiva.

Un ATPB, in caso di gare molto sofferte terminate ai supplementari, è in grado di perdere fino a 3000 calorie e 12 clienti.

Tutte queste considerazioni valgono ugualmente per l’architetto maschio come per quello femmina, l’unica differenza è l’attenzione che ripongono nel tradizionale rito dello scambio delle magliette a centrocampo, a fine partita.

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