L’ARCHITETTO SPACCIATORE

Sono oramai frequenti i casi in cronaca di architetti che coltivano, a scopo sia personale che per spaccio, stupefacenti quali marijuana o hashish, in piccoli orti urbani o in terreni posti in luoghi ameni o periferici.

Per poi stiparli, in un qualche deposito-garage al piano terra di eleganti condomini. In genere, qualora scoperto, l’architetto spacciatore, proprietario del locale, si giustifica con gli inquirenti adottando alibi tipo: “sono in crisi, perciò spaccio”, “il momento è complicato, mi arrangio” o simili.

Secondo una previsione statistica, il fenomeno dell’architetto spacciatore si ingigantirà fino a che, nel 2025, il 50% dei produttori e spacciatori di droghe leggere saranno ex architetti riconvertiti verso questo tipo di “nuova professionalità”.

L’evoluzione del fenomeno non deve stupire: gli architetti sono esseri multiformi ed imprevedibili, pronti a cambiare pelle ed attività, un po’ per indole un po’, soprattutto ora, per necessità.

Ecco la classifica dei 10 motivi per cui un architetto può riconvertirsi come imprenditore nel settore “droghe leggere”.

Al 10° posto – L’ECCITANTE: Perché molti architetti conoscono già bene le proprietà eccitanti delle droghe leggere avendone usata tanta quando si sosteneva che il consumo incentivava la fantasia e la creatività (e invece si diventava solo più rincoglioniti). In ogni caso hanno stabilito una certa confidenza con il “fumo” che gli è, e gli sarà, utilissima.

Al 9° posto – I SOPRALLUOGHI: Perché, con la promessa dell’assessore di turno di fare il nuovo piano di riqualificazione urbanistica, gli architetti hanno fatto sopralluoghi in tutti i quartieri periferici più degradati delle città, analizzando con precisione tutte le «piazze di spaccio». Inoltre molti architetti, nel tempo, hanno fatto pure amicizia con gli spacciatori ai quali, ingenuamente, prima dell’invenzione del navigatore, chiedevano indicazioni stradali.

All’8° posto – L’AREA VERDE: Perché all’università quando coloravano di verde ampie aree di ipotetici piani regolatori, la maggior parte degli aspiranti architetti hanno clandestinamente pensato che quel verde fosse tutta marijuana. Ed ora è il momento di prendersi la rivincita.

Al 7° posto – IL PAGAMENTO: Perché nel mercato della droga nessun cliente, nel momento della consegna, ha l’ottimismo e la lucidità di dire: “poi passo e ti pago”, che rappresenta la frase-incubo per qualsiasi architetto.

Al 6° posto – L’ALIBI: Perché un architetto, quando gli arrivano i carabinieri o la finanza sul luogo di lavoro, conosce già molte scuse per difendersi e, nei casi più delicati, ha anche pronto un alibi abbastanza credibile (almeno per evitare l’arresto immediato).

Al 5° posto – LA BUROCRAZIA: Perché, almeno finora, il settore “droghe leggere” è l’unico assolutamente privo di burocrazia, che è il vero sogno di ogni architetto italico. In particolare l’impianto di piantine “a seminativo” non contemplano la presentazione di nessuna pratica edilizia ne tanto meno il parere della soprintendenza.

Al 4° posto – I CREDITI: Perché per essere un professionista nel ramo “droghe leggere” non ci sono corsi obbligatori per la raccolta dei crediti come quelli che sono costretti a frequentare gli architetti. E, ammesso pure che ci siano, si tratterebbero di incontri dove alla fine si balla sui tavoli e si sta parecchio allegri.

Al 3° posto – L’EDIFICABILITA’: Perché un architetto che possiede un suolo non edificabile sa che rimarrà tale nonostante tutti i “piani casa” ventilati o reali, così automaticamente cerca di utilizzarlo in qualche altro modo ed è naturale che ne cerchi uno almeno altrettanto redditizio.

Al 2° posto – LA PENSIONE: Perché un architetto coltivatore e/o spacciatore di hashish può permettersi di pagarsi una pensione integrativa e di salutare serenamente l’incubo “Inarcassa”.

Al 1° posto – LA DESTINAZIONE D’USO: Perché così l’ufficio tecnico impara a non consentire il cambio di destinazione d’uso dei depositi-garage dei condomini eleganti, in abitazioni.

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