Tutti sanno che gli architetti sono lenti, lo sono per definizione. L’architetto veloce è, infatti, un ossimoro. Una figura retorica come il silenzio assordante, la lucida follia e l’avvocato sincero. Se un architetto si dimostra assolutamente rapido bisogna dubitarne perché è probabile non sia un vero architetto ma un geometra, oppure un ingegnere che si finge architetto per qualche strano motivo.
Quando un architetto viene accusato di essere lento può scaricare la responsabilità su un altro professionista che collabora con lui e che per lui svolge una mansione propedeutica, tanto impegnativa quanto misteriosa. Spesso gli architetti lenti attribuiscono la colpa della propria lentezza ad un artigiano qualsiasi o ad un personaggio sconosciuto esterno. In questo ultimo caso gli architetti lenti tendono a dire frasi tipo: “il fabbro non mi ha ancora dato le misure” oppure “sto aspettando che il signor X mi dia le chiavi”.
Alcuni architetti durante il corso della loro vita hanno provato a diventare veloci ma si sono scontrati con commissioni edilizie che si radunavano ogni 3 mesi o uffici che lasciavano marcire i fascicoli sulle scrivanie. Spesso gli architetti sono usciti frustrati da incontri con funzionari che non riuscivano a comprendere una sezione o tenevano il foglio al contrario. Di conseguenza si sono arresi e sono tornati ad essere lenti.
In ogni caso gli architetti non sono tutti lenti nella stessa maniera. Esistono tre tipi di lentezze: la Riflessiva, la Faticosa e la Patologica.
Quella Riflessiva è un tipo di lentezza tipicamente professionale, caratteristica dell’architetto tormentato che lascia che le decisioni maturino poco per volta, pretendendo che nel frattempo il mondo si blocchi ad aspettarlo, i cantieri si fermino, gli operai prendano le ferie e i commercialisti con le buste paghe costruiscano aeroplani di carta. La lentezza Riflessiva è in larga parte generata dai professori universitari, in particolare quelli di progettazione, che costringono l’aspirante architetto a meditare sul progetto per mesi e mesi nella speranza che le idee fermentino, per poi ritornare alla prima soluzione che era indubbiamente già la migliore.
Il secondo tipo di lentezza è quella Faticosa. E’ quella degli architetti particolarmente oberati di lavoro, alle prese con decine di cantieri, sopralluoghi di vigili, varianti improvvise e telefonate moleste nel cuore della notte. In tali condizioni l’architetto prende a manifestare evidenti sintomi da stress da fatica. Alcuni tentano disperatamente di tenere un andatura veloce e costante, finché sono costretti, saggiamente, a rallentare. Ci sono anche architetti che nonostante tutto, provano a tenere il ritmo: sono quelli che ogni tanto vediamo di sera fare il giro del palazzo in pigiama con il cane, oppure senza cane ma sempre in pigiama, chiaramente sotto l’effetto degli psicofarmaci.
Vi è anche un altro tipo di lentezza che riguarda gli architetti, si tratta di quella definita Patologica. Al contrario degli architetti da fatica gli architetti patologicamente lenti vivono benissimo, molto rilassati, praticando molteplici altre attività e/o hobby. Quando gli viene conferito un incarico se lo segnano a matita sul moleskine e poi dicono “appena sono pronto vi chiamo”, quindi spariscono. Se il cliente dopo qualche mese lo cerca, l’architetto risponde che “sta lavorando a quella cosa” ma in realtà è appena tornato, abbronzatissimo, da Sharm El Sheik e non ha neanche ancora fatto la visura catastale. In genere gli architetti afflitti da lentezza patologica, sopravvivono grazie ad altri redditi che gli provengono da famiglie benestanti, rendite da pigioni o pratiche illecite nel campo immobiliare.
Ci sono architetti che sono lenti anche in due modi differenti nello stesso tempo. Un architetto riflessivo e patologico insieme, ad esempio, impiega così tanto tempo per fare un progetto che nel frattempo approvano un piano regolatore nuovo e sul terreno sul quale sta progettando una villetta viene previsto un nuovo svincolo della tangenziale.
Alcuni architetti, molto ingenuamente, pensano di poter risolvere il problema della loro lentezza assumendo dosi massicce di caffè o di bevande energetiche. La gente non lo sa ma molti progetti, sia geniali che catastrofici, sono stati ideati sotto l’effetto anestetizzante della marijuana o della Red Bull.
Talvolta, per velocizzare un architetto lento, può risultare utile adottare un trucco: dargli un acconto. Si tratta di un espediente che i committenti dell’architetto spesso ignorano ma nel caso di architetti dotati di coscienza può generare un processo di velocizzazione tanto imprevisto quanto imprevedibile. Secondo una statistica attendibile, la lentezza dell’architetto è inversamente proporzionale all’entità dell’acconto. Alcuni sostengono che un adeguato e costante uso del sistema dell’acconto, consentirebbe nel periodo medio-lungo di produrre una generazione di architetti non più lenti, ma si tratta di ipotesi che partono da premesse finora fantascientifiche.
Esiste, però, sorprendentemente, anche una categoria di architetti con una percentuale sensibile di non lenti. Si tratta degli architetti donne. Le donne si posizionano normalmente in una fascia di architetti geneticamente modificati (i famosi AGM) per cui sono costrette a svolgere molte più mansioni dei loro colleghi uomini ed in meno tempo. La velocità di un architetto donna, inoltre, è insensibile alla presenza di figli in età da allattamento o prescolare, pranzi e cene da preparare, case da detergere e montagne di panni da stirare.
In questo mondo dove tutti vogliono andare di fretta e pretendono che tutti gli altri lo facciano, proprio in virtù della loro lentezza, gli architetti sono una specie da tutelare, ma con calma, senza affannarsi, perché almeno per ora, è evidente, che non sussista nessun pericolo di estinzione.
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