Sottotitolo / SFIDE: L’ARCHITETTO CONTRO LA TECNOLOGIA
E’ pensiero comune ritenere l’architetto un esperto nel campo tecnologico.
“Sono creativi! Non possono non conoscere la tecnologia!”, pensa la gente.
Oppure: “Sono giovani, sanno sempre come fare!”. Anche se l’architetto ha passato i sessanta, per la gente è sempre giovane.
Questo è parzialmente vero: infatti non esistono architetti in pensione.
(Non fatevi ingannare: gli anziani che guardano i cantieri e dirigono le maestranze sono tutti geometri. O ingegneri. Tuttavia quelli che vengono chiamati “ngengè”, in genere facevano gli autisti o vendevano il pesce).
Per anni l’architetto è stato messo da parte, dimenticato e schiacciato dalle dinamiche della società moderna. Ma ora le cose stanno cambiando. Precisamente, si stanno modificando da quando il pianeta terra è preda di un attacco sferrato da una comunità aliena che ha deciso di provocare l’estinzione dell’essere umano attraverso l’uso forzato della tecnologia.
Il piano è molto semplice: trasformare, tramite l’artificio tecnologico, operazioni semplicissime, come pagare una bolletta, consegnare un’istanza o rinnovare un abbonamento, in imprese impossibili. Secondo i calcoli dei marziani, tra password, PIN, social network, e-banking e altre varie diavolerie, entro il 2085 l’uomo sarà completamente rincoglionito.
Così i marziani potranno atterrare tranquillamente con la loro navicella spaziale, rottamarla e regredire serenamente fino all’Età del bronzo.
Ma gli alieni non hanno fatto i conti con gli architetti, che sono la risposta, sciaguratamente involontaria, della civiltà umana a questa aggressione.
Non hanno, infatti, considerato che, dopo qualche anno di esperienza sul campo, l’architetto sviluppa una sorta di deformazione cerebrale che lo rende resiliente a qualsiasi minaccia psichica e intellettuale, specialmente a quelle che dietro una parvenza di logica, nascondono la pura follia. Praticamente la tecnologia.
Chi meglio dell’architetto, che ha già fronteggiato varie tipologie di squilibrati durante gli studi e ne incontra quotidianamente di ogni specie, può affrontare la sfida contro gli scriteriati meccanismi della tecnologia ?.
L’architetto salverà il mondo, dunque, grazie al suo nuovo ruolo nella società: il badante tecnologico.
E lo farà praticamente da solo poiché gli ingegneri, che potrebbero dargli una mano, non sono dotati della necessaria umiltà. L’ingegnere, infatti, non è programmato per restare subalterno e quando si impossessa della conoscenza, tende a farne un uso personale. Come un tossico che finisce in un campo di canapa indiana.
L’architetto, viceversa, ha nelle sue corde un’aspirazione alla missione umanitaria (sarà forse colpa di alcuni corsi universitari che gli inoculano principi ecologisti, filantropi o di reversibilità) che gli consente di mettersi a disposizione di anziani suoi potenziali antagonisti in studi professionali con la moquette sul pavimento e le boiserie sui muri, svolgendo mansioni quali spedire le email, far funzionare la firma digitale, comprendere il DOCFA e “craccare” l’ultima versione di Autocad. E anche quelle al limite dell’impossibile, tipo inviare un certificato energetico.
Ogni giorno dunque, migliaia di architetti badanti tecnologici stanno combattendo battaglie contro programmi che non funzionano, errori irreversibili, sportelli telematici che non esistono, siti ufficiali che promettono meraviglie ma che se provi a cliccare su un qualsiasi link rispondono, inevitabilmente, con la tradizionale schermata: “Pagina non in linea”.
L’architetto badante tecnologico sacrifica ore ed ore di vita a contemplare diciture quali “Attendere prego”. Chiedendosi quale peccato mortale stia scontando.
Quella contro la tecnologia, è una sfida della quale, però, gli architetti si fanno carico, per salvare prima ancora che il mondo, loro stessi dal vagabondaggio e dall’elemosina all’angolo della strada.
E tuttavia, mentre sono impegnati in questa battaglia, sempre negli stessi studi professionali, gli architetti sanno anche, se serve, piegarsi a funzioni servili, tipo fascicolare le fotocopie, riordinare la collezione di DOMUS e spargere il VIM sulla tavoletta del cesso.
Questo rende gli architetti imbattibili.
Ultimamente, in particolare, sono gli enti pubblici ad avere bisogno di nuovi architetti da schierare nelle trincee dei loro uffici. Si tratta di una sorta di esercito della salvezza che non opera nelle case di riposo, ma negli uffici tecnici dei comuni, nelle segreterie dei genii civili, negli scantinati delle provincie, ecc..
Assumendoli, li utilizzeranno per difendersi dalla tecnologia, gli affideranno il funzionamento del protocollo elettronico, l’archiviazione digitale di milioni di fascicoli o per risolvere quel famoso problema dei siti internet di cui sopra, dove, per quanto l’utente medio si possa impegnare, quando si è ad un click dal risolvere il problema, apparirà sempre la scritta “Pagina non in linea”.
Ma la loro mansione più importante sarà inviare migliaia di PEC ad altri enti pubblici dove ulteriori architetti si occuperanno di riceverle e di farle girare verso altre caselle di posta elettronica dove ancora nuovi architetti badanti tecnologici cliccheranno su “inoltra” verso chissà chi. E così via, all’infinito, in un loop tecnologico che crea una specie di vortice spazio-temporale dove gli alieni, che pure di buchi neri se ne intendono, non ci capiranno più un cazzo.
E così nel 2085 atterreranno su un altro pianeta (anche perchè, qui parcheggio non ce n’è).
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