L’ARCHITETTO AI GIARDINETTI PUBBLICI

cattaneoFino a dieci anni fa era rarissimo vedere un architetto ai giardini pubblici, in alcune città era ed è addirittura impossibile perché non esistono neanche i giardini pubblici . Gli architetti invece sono sempre esistiti, solo che fino a qualche anno fa c’era così tanto lavoro per la categoria che nessuno di loro trovava mai il tempo di andare a passeggiare al parco, neanche nei giorni festivi, al massimo lo attraversavano per andare da un appuntamento all’altro.

Oggi invece ai giardinetti pubblici si incontrano un sacco di architetti, non solo di Domenica, ma anche negli infrasettimanali, ad orari che una volta erano tipici degli spacciatori e dei gruppi di badanti ucraine. Questo è un dato che fa riflettere al pari dell’elezione di Trump e dell’uso dell’olio di palma nelle merendine.

L’architetto, generalmente, odia i giardini pubblici, tranne il caso che li abbia progettati e realizzati lui, ma è un caso molto raro perché solitamente questi interventi sono affidati al geometra del comune che copia uno schema all’inglese dal manuale cartaceo dell’architetto o da un albo di “Ville e giardini” che custodisce in soffitta dagli anni ’80.

L’architetto, specie se dotato di famiglia con prole, evita di recarsi ai giardinetti pubblici, per evitare incontri con i famigerati finti-clienti invadenti che lo aggredirebbero subito con una serie di domande per carpire il classico consiglio “a gratis”. A nulla vale farsi trovare spingendo un carrozzino o giocando a palla con un treenne, un architetto al parco costituisce una preda troppo appetibile per il cliente molesto.

Un architetto ai giardinetti pubblici si riconosce dal fatto che è l’unico ad accorgersi di alcuni particolari quali:

–        Lo schema di posa della pavimentazione e la qualità del materiale impiegato.

–        La posizione, il dimensionamento e la pendenza degli scivoli per l’abbattimento delle barriere architettoniche

–        Il design delle panchine e il loro orientamento rispetto al circolo del sole.

Alcuni architetti, di pura ispirazione paesaggistica, trascorrono molto tempo a studiare la tipologia delle piante sistemate nelle aiuole o la disposizione dei fiori, lamentandosi sempre che si tratta di specie inadatte al clima e comunque mai abbastanza curate. Se provate ad avvicinare un architetto che passeggia ai giardini pubblici, la prima cosa che vi dirà è che è là in cerca di ispirazione, oppure che sta aspettando un cliente ritardatario o perché ha portato giù il cane, in quest’ultimo caso però deve avere in dotazione un cane altrimenti si capisce che mente. Al massimo può dire che è scappato e lo sta cercando.

In alcuni casi l’architetto ai giardinetti porta con sé una rivista di settore, sempre la stessa, che tiene stabilmente sulla console all’ingresso di casa, oppure nel portabagagli dell’auto, pronta all’uso. L’architetto comunque la sfoglierà solo ad uso deterrente contro gli eventuali molestatori di cui sopra, cercando di leggere, finalmente, quell’editoriale così affascinante ed incomprensibile ma guardando poi solamente le figure.

Un architetto ai giardinetti pubblici non può fare a meno di pensare quanto siano costati, ma soprattutto quanti soldi ci vogliano per la gestione e la manutenzione. E’ una sorta di deformazione professionale che non si incrina neanche nelle sue performance outdoor. Per questo motivo l’architetto al parco è sempre ostile, ad esempio, alle fontane monumentali che funzionano in media solamente per i primi tre mesi, dopodiché diventano deposito di centinaia di pacchetti di sigarette vuoti e contemporaneamente toilette per i piccioni.

Esistono anche architetti che si portano un po’ di lavoro al parco convinti di poter dare uno sguardo alle carte stando all’aria aperta, per questo motivo trascinano gonfie borse in pelle per molti chilometri in cerca di angoli tranquilli che non troveranno mai o che troveranno solo prima di un forte temporale. La variante è l’architetto tecnologico che, in pausa pranzo, si apparta al parco con il suo tablet, convinto di riuscire a concludere l’ultimo capitolo della relazione tecnica ma poi finisce puntualmente a chattare con l’amante.

Un architetto al parco può svolgere anche altre attività ricreative, tipo dipingere ad acquerello sul moleskine, praticare attività fisica aerobica, andare sull’altalena delle giostrine oppure raccogliere margherite per la pratica del classico “m’ama non m’ama”. L’ultimo caso riguarda la categoria degli architetti “sentimentalmente in difficoltà” secondi per numero solo a quelli “economicamente in difficoltà”

Due architetti che si incontrano al parco, dopo cinque minuti, sono già pronti ad intavolare una discussione molto raffinata sulla crisi del contemporaneo, della professione e dei valori in genere. Tre architetti al parco, invece, sono quasi sempre uno studio di associati in ricreazione o un embrione di lista in formazione per le elezioni dell’ordine. Quattro architetti possono già organizzarsi per un mini corso di aggiornamento e recuperare quattro-cinque crediti formativi.

Nel caso, dicevamo molto raro, che l’architetto abbia lui stesso progettato i giardinetti pubblici nei quali passeggia, allora non si tratta di una semplice passeggiata ma di un ispezione. Appena ne ha la possibilità l’architetto vi si reca perché conosce la fragilità della sua opera e allora è pronto a controllare alcuni dettagli che ritiene fondamentali, tipo che il verde sia sempre rigoglioso e le panchine ancora tutte intere. In questo caso l’architetto, quindi, svolge una funzione di controllo in supplenza e integrazione dei vigili urbani che comunque non sarebbero in grado di accorgersi con prontezza delle manomissioni della sua opera. In generale un architetto che passeggia in un giardino pubblico progettato da lui deve possedere grandi doti di tolleranza per resistere a writers, cani che la fanno dappertutto ed ambulanti abusivi. Qualità che in genere non ha, anzi non ha più.

Anche per questo motivo, i giardinetti pubblici li progettano sempre i geometri: non per una questione di merito, ma di pazienza.

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