Nella partita di scacchi che l’ebreo Tabori e il tedesco Frisch, i due protagonisti de “La variante di Lùneburg” (Adelphi, 1993), giocano tra la fine del 1944 e la primavera del 1945, nel campo di concentramento di Bergen Belsen, la posta in palio è terribilmente alta.
Tomori ha poco da offrire ma Frisch appartiene a quel genere di giocatori che non è capace di sedersi alla scacchiera senza che vi sia qualcosa da vincere o perdere.
Paolo Maurensig, friulano, classe ’43, appartiene a quella categoria di scrittori italiani che andrebbero letti, assolutamente letti, perché tra i migliori, nonostante non abbia mai vinto un “Premio Strega” o sia diventato un personaggio televisivo.
E per iniziare ad apprezzare Maurensig, il modo migliore è leggere questo suo romanzo d’esordio, che nel 1993 fu un vero caso letterario vincendo il “Premio Berto, opera prima”.
Esordio maturo, da cinquantenne, dove l’autore padroneggia più generi (il saggio, il giallo e il romanzo storico) e le sue qualità da narratore emergono distintamente.
La vicenda del maestro Tabori, vittima del pregiudizio razziale, della deportazione e, infine, delle torture delle SS naziste, narrata senza sconti sulla crudeltà dei dettagli, atterrisce il lettore. Fino al più sconvolgente dei finali, aperto e imprevedibile.
Il tema degli scacchi tornerà più volte nella produzione di Maurensig come nel romanzo “La teoria delle ombre” (Adelphi, 2015). Così come più volte tornerà un’altra delle sue grandi passioni: la musica.
In un’intervista del 2016, Paolo Maurensig alla domanda su cosa si dovesse fare per provare a diventare uno scrittore, rispose: “iniziare a scrivere da bambini. E a leggere, naturalmente”.
Con grande umiltà dichiarò anche che dei suoi dodici libri (scritti fino a quel momento), quelli davvero validi erano probabilmente cinque.
Nel marzo 2021 un tumore ha spento Maurensig e la sua ispirazione; l’ultimo suo libro “Il quartetto Razumovsky” (Einaudi, 2022) uscito postumo, torna nuovamente sulla questione razziale.
E, inutile dirlo, è validissimo.
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