La tutela? Ci è sfuggita di mano…

In Italia il concetto di tutela sta leggermente sfuggendo di mano a chi pensa di avere la legittimità per esercitarlo. In verità sta diventando complicato anche il calcolo del numero dei tutori che ci circondano. Oramai chiunque occupi una poltrona di qualche ente (ma anche una semplice sedia), rivendica il suo personale diritto di veto, sospensione, parola, su ogni modificazione del territorio, qualsiasi essa sia. I livelli di tutela, o presunta tale, sono diventati talmente tanti che non significano più nulla, né presi singolarmente, né visti nel quadro complessivo. Quando i divieti si sommano, sovrappongono, contraddicono, perdono credibilità. Questo accade in qualsiasi campo della disciplina giuridica, figuriamoci in un ambito così delicato e sensibile (talvolta legato anche a considerazioni persino soggettive) come quello della tutela ambientale (usiamo per brevità, un termine molto generico). Capita di trovarmi come pubblico in conferenze dove si discute di questi problemi. Allo stesso tavolo si accomodano rappresentanti di variegate entità territoriali: Regione, Provincia, Comuni, Soprintendenza (architettonica, archeologica ..), Ente parco, Guardia di Finanza, Comunità Montana, Autorità di bacino, Anas, Asl, associazioni ambientaliste. In alcune di queste entità esistono persino uffici differenti che si occupano di problemi simili. Ognuno presenta il proprio funzionario, impiegatuccio, rappresentante politico, che pontifica come meglio crede, discetta di vari argomenti ma soprattutto si impegna nel difendere con grande convinzione il suo spicchio di potere. Ognuno si professa convinto che è la sua struttura quella che sta operando nel migliore modo possibile, che questa non può essere scavalcata in nessun modo e che quindi deve avere l’ultima parola. Tempo fa per lo spostamento di un distributore di carburante, ho assistito personalmente alla spedizione di una trentina di lettere di invito ad altrettanti enti, uffici ecc, per una conferenza di servizi, ovviamente vana. E non poteva essere altrimenti. E qui si aprirebbe un lungo dibattito, ma ve lo risparmio e passo ad enunciare quelli che sono i risultati di questo sconfortante quadro, almeno cinque. Il primo, il più evidente: il cittadino sfiduciato e indispettito, se può si arrangia. Costruisce quello che gli serve, poi si vede (una sospensiva al TAR non si nega a nessuno). Il secondo: il territorio è insultato da una serie di interventi di nessuna qualità che sono la somma dei divieti oppure ciò che riesce ad evitarli tutti proprio, con qualche scorciatoia legalizzata, per non incorrere in lungaggini burocratiche. Il terzo: la probabilità di produrre un’opera di architettura decente è assolutamente risibile. Bisognerebbe affidarsi al caso, ad agganci politici potentissimi (ma se non ce l’ha fatta neppure Niemeyer a Ravello ..), o ad un illuminato caso di abusivismo. Il quarto: i professionisti, insultati e depressi, alzano i tacchi e cambiano aria. Emigrano oppure si adeguano in qualche modo, cercando e trovando compromessi, si spera non troppo umilianti. Il quinto: è sotto gli occhi di tutti. Questo territorio, che con tanta testardia si prova a tutelare, oramai ce lo stiamo giocando. Il rimedio sta facendo più danni della causa.

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