C’è stato un periodo durante il quale ebbi quasi l’intenzione di mollare tutto e di andare a fare il gelataio in Australia, solo le parole del mio vecchio amico Ciancio mi convinsero a non mollare.
Ciancio Matteo, lo conobbi al primo anno di università, al corso di “Istituzioni di matematica 1”. Lui era sempre nella sedia della prima fila al centro, io invece che arrivavo sempre in ritardo, ero costretto a sedermi sempre sul pavimento e mi chiedevo a che ora bisognava arrivare per occupare la sedia in prima fila.
Un giorno ci incontrammo al bagno, dopo la lezione. Ciancio aveva i capelli nerissimi e gli occhi scuri e seri, mi guardò un attimo poi mi disse, così all’improvviso: “se vuoi domani ti tengo il posto, così una volta non ti siedi sul pavimento”. “Davvero ?” risposi, “Grazie, sei gentile”. Lui aggiunse: “so che non si dovrebbe fare, perché non è corretto, ma sono due mesi che stai sul pavimento, se continua così ti verrà il mal di schiena”. Io, il mal di schiena già ce l’avevo, però non gli e lo dissi. Il giorno dopo Ciancio mi aveva tenuto il posto, ma non in prima fila, in quarta; quando arrivai mi disse: “non era giusto per gli altri”. Io apprezzai, molto, era la prima volta che potevo seguire una lezione di matematica senza sedermi per terra. Un giorno che non avevo capito niente, mi feci coraggio e gli chiesi se poteva farmi dare uno sguardo ai suoi appunti, Ciancio mi prestò il suo quaderno, raccomandandomi di fare le fotocopie e di riportarglielo il giorno dopo.
Dal quaderno di Ciancio capì molte cose di lui. Non avevo mai visto un quaderno di appunti, presi in tempo reale (cioè senza ricopiare in bella) così ordinato. Come riuscisse ad organizzare tutti i numeri, i teoremi e le didascalie con tanto rigore era, per me, un mistero. Era preciso e chiaro più di un sussidiario delle elementari. Mi fotocopiai tutto il quaderno e pensai che se avessi incontrato un Ciancio in ogni singolo corso di quel mio viaggio di studi, avrei avuto la vita più facile. Il caso volle che facemmo quell’esame lo stesso giorno. Ciancio era il primo, si era prenotato con due mesi di anticipo: non era uno che perdeva tempo lui. Era un pomeriggio caldo di Luglio del 1994, quel giorno l’Italia era impegnata nella semifinale dei mondiali di calcio con la Bulgaria. Ciancio, senza un attimo di esitazione, si sedette serissimo davanti al professore, risolse gli esercizi, senza mai cambiare atteggiamento del viso e alzando poche volte gli occhi dal foglio. Io lo guardavo dal fondo dell’aula, con una paura fottuta, senza riuscire mai a capire se il suo esame stesse andando bene o male, ma avevo molta fiducia in lui. Quando si alzò, rimise le sue cose nella sua borsa verde militare, poi camminò veloce fino al fondo dell’aula; quando mi passo accanto gli chiesi come era andata. Lui mi guardò senza emozione e mi disse “ventotto”. Era il suo, il nostro, primo esame, avrei voluto dirgli “complimenti”, stringergli la mano, abbracciarlo mi sembrava troppo, ma sul suo volto non apparve un sorriso neanche per un attimo. Poi mi disse: “ora vado, tra poco c’è il corso di storia. In bocca al lupo”. Andò bene, anche a me, non così bene, ma andò.
Rincontrai Ciancio, un anno dopo, ancora in occasione di un esame che aveva a che fare con i numeri. Ogni tanto lo incrociavo nel corridoio, lui sempre di fretta, con la sua borsa verde militare, andava in qualche corso, in biblioteca, a correzione, sempre indaffarato a non sprecare neppure un minuto del suo tempo. Le lezioni dove ci rincontrammo furono quelle di “Fisica Tecnica”, questa volta non avevamo problemi di posto. Seguivamo le lezioni poco più di trenta persone in un cinema da quattrocento posti, così, io che conoscevo solo lui, presi a sedermici accanto. Scoprì che lui viveva piuttosto lontano dalla facoltà, in campagna, ma si svegliava prestissimo per prendere il primo treno ed arrivare con un buon anticipo, “per non rischiare”, come diceva lui. Il padre era un agricoltore, aveva molto terreno e anche degli animali da allevamento, era figlio unico, aveva studiato al liceo scientifico e odiava il calcio. Praticamente non avevamo niente in comune. Ogni volta che non capivo bene un passaggio, che mi inceppavo in qualche calcolo, chiedevo a Ciancio, oppure gli sbirciavo il quaderno, lui trovava il tempo di spiegarmi e, contemporaneamente, di continuare a seguire la lezione. Lo ritenevo un genio della matematica.
Quando ci fu da dare l’esame, curammo di farlo insieme. L’esame si teneva in un’altra facoltà, piuttosto distante; non sapevamo bene come arrivarci, quindi nonostante l’esame fosse di pomeriggio, ci demmo appuntamento già dalla mattina. Quando arrivammo era quasi ora di pranzo, ci sedemmo sulle scale di un campo di basket che era là fuori e mentre mangiavamo i nostri panini, ripassavamo le ultime cose. Ciancio ricordava tutto benissimo, quando aveva una perplessità, socchiudeva un attimo gli occhi, come a sfogliare il libro della memoria e poi tirava fuori la soluzione. Davanti a noi, dei ragazzini facevano una gara di tiro, quando ebbero finito, lasciarono la palla a centrocampo e si allontanarono. Io in quel periodo giocavo a basket, mi vergognavo un pò di fare come i ragazzini ma scesi le scale e raccolsi il pallone. “Matteo” gli dissi, “te l’ho detto che gioco a basket ?”. Ciancio fece pianissimo “si” con la testa, senza nessun coinvolgimento particolare. Avevo voglia di fare qualche canestro per dimostrare a me stesso e al mio amico Ciancio, che era vero, che giocavo a basket e se lui ricordava tutti i teoremi di fisica, io ero capace di segnare anche 10 volte consecutive dalla lunetta. Quando segnavo un tiro difficile, da lontano, con la coda dell’occhio guardavo Ciancio sulle scale per capire se mi aveva visto, se mi stava seguendo con lo sguardo. Lui guardava sempre dritto davanti a sè, verso il sole che andava giù dietro le colline.
Prima di andar via mi posizionai dietro la linea del tiro da tre e urlai: “se segno questo prendiamo trenta !”. Ciancio si girò ed io pensai che dovevo assolutamente segnare, non per il trenta ma perché finalmente stava guardando con attenzione. Fu il tiro da tre più bello della mia carriera.Quando la palla entrò, sfiorando appena la retina, alzai le braccia e guardai Ciancio che mi sorrise.
Fu quella l’unica volta che lo vidi sorridere.
(fine prima parte – continua…)