LA STILOGRAFICA

A Natale ho comprato un cappello nuovo.

E’ un modello “Borsalino” molto elegante, con la tesa corta, di colore blu chiaro e un patchwork astratto disegnato sul tessuto.

E’ passato più di un mese, ma non l’ho ancora indossato.

Lo tengo imbustato, nella confezione, in un angolo dell’armadio tra le camicie.

«Come mai non hai ancora messo il cappello nuovo?» mi è stato chiesto.

Già! Come mai?.

Non l’ho ancora messo perché lo conservo per un’occasione importante.

Non posso andarmene in giro con un cappello così elegante senza un motivo valido. E’ superfluo metterlo per il lavoro. Eccessivo per fare la spesa o sbrigare commissioni.

Credo che lo indosserò insieme alle scarpe nuove. Le ho prese ai saldi dell’Epifania. Si può dire che ho cercato scarpe così per anni, senza mai trovarle. Finché, gironzolando al centro commerciale, le ho viste esposte su un ripiano seminascosto. Mi sono avvicinato quasi incredulo. Era rimasto solo il mio numero: un vero colpo di fortuna!.

Sono di pelle, con la suola in gomma chiara e i lacci dello stesso colore. Stanno bene sia per un outfit raffinato che in un completo casual. Potrei usarle per tutti i giorni o per delle cerimonie. Tuttavia non ho intenzione di consumarle immediatamente.

Le conservo, così quando sarà il momento saranno nuove.

Qualcosa di simile ho deciso che farò anche con la penna stilografica che ho ricevuto in regalo qualche tempo fa.

E’ una biro con l’inchiostro nero, rivestita in legno chiaro e punta in acciaio. E’ stata creata da abili artigiani, sicuramente è costosa. La custodisco ancora nella sua piccola scatola rigida.

L’ho solo provata, una volta, è davvero una penna speciale: la punta scorre agilmente sul foglio senza nessuna fatica.

Chi me l’ha regalata, un mio amico, ogni tanto mi chiede: «la stai usando la penna?».

Io mento. Rispondo «si».

Invece la sto conservando per quando dovrò firmare un contratto importante o diventerò uno scrittore famoso e mi inviteranno ai festival e in televisione. Così, quando mi chiederanno un autografo o una dedica, io la estrarrò dal taschino perché è proprio in quelle circostanze che bisogna avere una penna speciale.

Posso mica sciuparla per compilare moduli di pagamento dell’imposta dei rifiuti o per firmare perizie? Ma soprattutto: posso utilizzarla quando non mi vede nessuno? No che non posso. Sarebbe da stupidi.

Occorre l’occasione.

E’ quello che penso sempre quando, disceso in cantina, occhieggio quella bottiglia di “Bolgheri Sassicaia” che presi di ritorno da un viaggio in Versilia. E’ un vino rosso, fermo, speziato, di prestigio. Comprandola pensai: “questa la aprirò in un occasione particolare”, ben abbinandolo al cibo affinché tutti lo possano apprezzare.

Un festeggiamento, un anniversario, un pranzo con amici che non si vedono da anni.

Sono passati tre anni. La bottiglia è sempre là, dove la poggiai rientrando dalla trasferta. Ogni volta che transito in cantina pare mi scruti, per chiedermi se sia giunto il suo momento.

Io con la coda dell’occhio controllo che mantenga la posizione leggermente reclinata e che la polvere non ne ricopra la boccia. Ne comprendo l’apprensione, ma la sua ora non è ancora arrivata.

Potrei aprirla se vincessi quel concorso di scrittura al quale starei per partecipare.

Negli ultimi anni ho scritto una serie di racconti che reputo di buona fattura. Alcuni più degli altri e uno in particolare che mi sembra perfetto.

Forse lo scrissi in uno stato di grazia perché così non mi è più “venuto”.

Da allora, ogni giorno, guardo i bandi dei concorsi di scrittura.

Ce ne sono molti, frequenti, sparsi lungo tutta la penisola. Tutti prevedono una sezione “racconti”, tuttavia nessuno mi convince completamente.

Alcuni non contengono il tema giusto, altri non menzionano la giuria. Altri ancora non prevedono nessun premio stimolante. Non posso sprecare il mio racconto perfetto per un concorso inadeguato. Devo attendere l’opportunità adatta.

Di quest’attesa ho discusso con un mio amico. Quello della penna.

«Potremmo aprire la bottiglia di “Bolgheri Sassicaia” quando finalmente acquisterai una casa» mi ha detto.

«Già». E’ vero.

«Lasciando finalmente quella casa in fitto!».

Ho impiegato molti anni di sacrifici per mettere da parte una somma di denaro sufficiente a comprare un alloggio dignitoso. Nel frattempo il mercato immobiliare ha subito un’impennata. Avessi avuto questi soldi dieci anni fa, avrei potuto scegliere una casa più grande in una zona migliore della città. Invece ora, per la stessa cifra, dovrei accontentarmi di un abitazione più piccola, in periferia.

«Il mercato prima o poi è destinato a calare» ho esclamato fiducioso. Intanto il denaro staziona, infruttuoso, sul conto corrente.

Il mio amico mi ha raccontato che una cosa del genere è accaduta anche a sua zia.

«Anche lei doveva comprare casa?».

«No» mi ha risposto «la zia raccoglieva i punti del latte».

Ancora esistono queste raccolte punti: quando si raggiunge un certo numero di bollini si può scegliere un premio da un catalogo.

«La zia era molto accorta, non sciupava nemmeno una confezione. Per un periodo anche noi collaborammo cambiando la marca del latte pur di aiutarla ad accumulare i punti».

«Cosa si vinceva?».

«Il catalogo cambiava ogni sei mesi. Servivano tremila punti per ottenere quello che la zia desiderava: lo spremiagrumi; ma quando era nel catalogo, la zia ne aveva raccolti solamente ancora la metà. Con quelli avrebbe potuto ricevere un bollitore oppure il servizio da tè da sei, in porcellana. Ma la zia voleva solo lo spremiagrumi».

«… ma poi la zia ha raggiunto i tremila punti?».

«Certo, ma nel frattempo lo spremiagrumi era scomparso dal catalogo. Al suo posto con tremila bollini si poteva avere una caffettiera da dodici tazze. Figuriamoci! La zia viveva sola!. Noi le suggerimmo di prendere comunque un premio o magari due premi minori, ma la zia fu irremovibile. Disse che preferiva aspettare il nuovo catalogo perché lo spremiagrumi sarebbe certamente tornato e che intendeva conservare i suoi tremila punti piuttosto che utilizzarli per una caffettiera o per due premi minori. ».

Ascoltare la storia della zia del mio amico mi convinse a confessare.

«Sai» gli dissi con un filo di vergogna «non ho ancora usato la penna».

Lui mi guardò fisso con l’aria di chi se lo immaginasse.

«Magari usala. L’inchiostro si asciuga. Poi non funziona più».

“Chissà se faccio in tempo a diventare famoso” mi chiesi.

«Comunque la zia aveva ragione» continuò il suo discorso «ora sul catalogo dei premi è ricomparso lo spremiagrumi».

«Sarà contenta tua zia!» dissi.

A quel punto il mio amico smise di fissarmi e puntò lo sguardo al cielo, allargando le braccia.

«Lo sarebbe» disse «se non fosse morta».

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