C’è un metodo molto semplice per misurare la civiltà di un popolo: basta osservare come tratta gli spazi pubblici: le piazze, i parchi, le spiagge. E non parlo solo di chi li utilizza, ma anche di chi li governa.
Tutte le volte che più persone, per un motivo o per un altro, si trovano a condividere uno spazio, loro malgrado sono tenute a rispettare un codice; per farlo richiamano dall’animo il concetto di rispetto che hanno imparato e lo mediano con ciò che osservano intorno a loro. Il meridione del mondo, noi compresi, spiace dirlo, si iscrive spesso al partito degli incivili. Tanto da far fiorire una lunga letteratura di divieti, quasi tutti inevasi poiché l’educazione non si impone per legge; altrimenti sarebbe troppo facile. La civiltà è un processo faticoso, a volte molto lento, pieno di ricadute; tuttavia avrebbe grandi vantaggi.
Presto però non avremo più tante possibilità per misurare il nostro grado di civiltà perché piuttosto che formare al bello e al rispetto reciproco, tutti gli amministratori, hanno deciso di espropriare lo spazio pubblico a loro disposizione, a beneficio degli investimenti privati. Sotto il nostro naso, si vendono il nostro diritto di stare insieme. Potremo ancora farlo, tutti insieme, educati e maleducati, però solo a pagamento.
Noi che viviamo dinanzi al mare lo sappiamo, il luogo per eccellenza dove si misura il rispetto e l’educazione di ognuno di noi, è la spiaggia. Territorio di confine, sufficientemente aperto ed esteso tale da non poter essere monitorato scientificamente, ed incline a manifestazioni di libero piacimento pressoché infinite; tanto che le nostre madri, quando volevano liberarsi di noi ci dicevano: “vai a giocare miez a marina”. La spiaggia libera, (e “libero” è un aggettivo tanto importante quanto sottovalutato) è una degli ultimi avamposti di felice anarchia che ci è stato finora concesso. La straordinaria occasione di decidere dove e come stare, a che ora andare o tornare, con chi stare e chi evitare. La persuasione che il mare è ancora un bene di tutti. La spiaggia libera è stata da sempre una palestra di educazione civica, anche storica, dove comportamenti più sconsiderati venivano censurati, come naturalmente avviene in una comunità che sopravvive solo se si riconosce. Un oasi di astrazione dalla vita di tutti i giorni, dove la volontà e i diritti individuali ci vengono sottratti da un dilagare di norme e impedimenti. Una cartina al tornasole di ciò che siamo, di quanto siamo rimasti primitivi ma anche di quanto ci siamo evoluti. Senza la spiaggia libera, non potremo più saperlo, mai più, almeno, con la stessa precisione.
Per questo la sua imminente scomparsa sarà una nostra grande sconfitta, sociale prima di tutto. E’ il governo che perde fiducia nei governàti, la lotta di classe e le regole del mercato che scendono “miez a marina” allontanando i meno abbienti, il ghetto per benestanti e fintiricchi che si fa quartiere.
Lunghe distese di ombrelloni e sedie tutte uguali, tutte noiosamente in fila, controlleranno ogni centimetro di spiaggia. Faremo una coda per la doccia, per la crema, per lo zumba e per il cambio costume. Un popolo di “polli da batteria”, saremo, sempre tutto in fila. Ammàliato da pubblicità patinate e promesse di rinnovata gioventù. Rincoglioniti da finte condivisioni di una pagina facebook affollata di amici sconosciuti. In attesa che si vendano anche il mare e ci chiedano di pagare un gettone, o cliccare un “mi piace”, per sciacquarci i piedi.
Non educare i nostri figli al rispetto dello spazio pubblico e contemporaneamente scordarsi dei nostri diritti, questo è stato il nostro vero ozio.
Nella foto: un’opera di Moses Levy (1885-1968)
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