Conosco un architetto che ha scritto un romanzo su un’architettura straordinaria.
“Di cosa tratta?” ho chiesto curioso.
“Di un’architettura, credimi, davvero incredibile”.
“Ma cos’è? Una casa!”.
“Si… cioè no. Di più”.
“È un edificio?”.
“Non esattamente”.
“Una chiesa, una cattedrale?”.
“Quasi”.
“Una città?”.
“Dai. Santo cielo! Non te la posso spiegare!”.
Mi ha parlato del romanzo. La storia è avvincente, ricca d’intrecci e colpi di scena.
Le descrizioni sono accurate e generose di dettagli.
Così, perlomeno, sostiene.
“Nessuno meglio di un architetto”, mi ha spiegato, “può essere in grado di miscelare così bene tecnica e sentimento!”.
Tuttavia questo romanzo non è stato ancora pubblicato.
L’ha spedito ad un mucchio di editori, ma ai complimenti per lo stile seguivano le perplessità sull’architettura.
“Puoi farmi capire precisamente com’è fatta?”. “Non riesco ad immaginarmela”. “Spiegala meglio”. Queste le obiezioni più frequenti.
D’altronde anche i suoi parenti erano perplessi, esattamente come gli amici e persino i colleghi.
Alcuni reclamarono degli schizzi. Altri dei particolari costruttivi.
“Non hai una foto di qualcosa di simile?”, chiese uno.
“Aggiungi delle illustrazioni”, consigliò un altro.
“È un romanzo!”, si stizziva. “La parole sono forme. Sono chiare quanto i disegni!”.
“La fai semplice tu!”, replicavano.
“Ma eccola! È là! Santo cielo! Dove avete messo la fantasia?”.
Ma per risposta otteneva soltanto sguardi persi, alzate di spalle, frasi di circostanza.
Finti incoraggiamenti che non lenivano le sue profonde malinconie.
Finché un editore, importante, promise: “Se riesci a farmi vedere quell’architettura, ne faremo un bestseller!”.
Questo conferì all’architetto rinnovata vigoria.
Si rimise al lavoro. Rilesse tutto. Approfondì argomenti che riteneva conoscere perfettamente. Li perfezionò con la cura di un orafo. Tolse e rimise tutti i punti e le virgole.
Fino a quando ogni frase parve un affresco.
Incontrandolo, sovente, chiedevo come andava col romanzo.
“Bene, bene. Ci riuscirò”, mi rassicurava.
Ma per quanto si sforzasse, quell’architettura restava invisibile agli occhi del mondo.
Finché non ne ho avuto più notizie. Né di lui, né del romanzo.
Talvolta in libreria lo cercavo tra gli scaffali, senza fortuna.
Era scomparso.
Conosco un architetto che ha scritto un romanzo su un’architettura straordinaria.
L’ho rivisto tre giorni fa.
“Ce l’ho fatta!”, mi ha detto entusiasta. “Ora tutti la vedranno. Non solo l’editore”.
Ma, Santo cielo, non è stato per niente facile.
Per mostrare quell’architettura è stato costretto a costruirla.
(Questo brano è stato pubblicato nella rubrica “L’Archintruso” sul sito del Giornale dell’architettura – LEGGI QUI)
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