Il presidente Bruttos regnava su tutta la regione della Scandiria, era un capo severo ma giusto, i suoi sudditi, che lui chiamava simpaticamente “sottoposti”, lo adoravano, in fondo con un assegno circolare li aveva salvati tutti dalla crisi economica del ‘23 e per questo erano pronti a seguirlo in qualsiasi sua decisione. Nessuno si oppose, quindi, allorchè Bruttos durante il tradizionale discorso di Ferragosto, annunciò che la settimana successiva sarebbero cominciati i lavori per la nuova capitale del regno e che, a lavori ultimati, tutta la popolazione sarebbe stata trasferita nella nuova città: Tristonia.
Era un annuncio inatteso, il giorno dopo Bruttos fece chiamare Mariano Mattone il suo architetto di fiducia, di origine veneta ma di madre Argentina e gli affidò la progettazione della città. Gli disse: “dovrà contenere 30000 abitanti e ognuno di loro dovrà essere triste”.
Mattone, emigrato di lusso e architetto più famoso del regno, sgranò gli occhi. Per il presidente aveva già realizzato molte opere: grattacieli, boulevards, piazze per le adunate ocenaniche, stazioni ferroviarie e marittime, ma questa richiesta gli sembrava molto singolare.
“Hai capito bene. Devi realizzare una città dove tutti gli abitanti dovranno essere tristi”, Mattone continuava a non capire. “E’ una tecnica di governo, me lo ha insegnato il mio tutor: azzerare la felicità permette al re di governare meglio. Un popolo triste si accontenta di poco”.
Bruttos era un premier fatto in casa, da giovane aveva vinto 300mila lire al “Pranzo è servito” poi si era preso la maturità da perito tecnico-industriale alle serali, diventato premier aveva cominciato a studiare diritto e scienze politiche, ma non avendo molto tempo libero si era affidato alle lezioni private. Aveva scelto i migliori tutor sul mercato, tutta gente che proveniva da una lunga gavetta al CEPU. “Ricordati” concluse, “dovrà essere la città più triste del mondo”
Mattone si fece convincere, comprò un rotolo di carta “mozzarella” molto lungo e si mise al lavoro. Impiegò ben 4 giorni e 4 notti, bevendo litri di caffè per restare sveglio. Poi si presentò da Bruttos molto fiero del suo lavoro. Distese un enorme lucido sul tavolo della cucina e spiegò il progetto al presidente. Innanzitutto Tristonia era una città ordinatissima, tutta ad angoli retti e piena di salite, senza neanche una discesa. Però era orientata malissimo, sempre alla rovescia, poi ridusse al minimo indispensabile i parchi, abolì due fiumi e nel laghetto piazzò una fabbrica di ceneriere, quindi disegnò incroci dove il traffico si sarebbe sempre bloccato con semafori che non diventavano mai verdi e infine la riempì di palazzoni, giganteschi parallelepipedi affollati come alveari dove la luce non entrava neanche a mezzogiorno.
Il giorno dell’inaugurazione i cittadini di Tristonia entrarono disciplinatamente ognuno nella propria abitazione, Bruttos volle metterci anche il suo tocco: fece dipingere tutti i palazzi di grigio fumo e sistemò inferriate ad ogni muro di cinta. Poi fece i complimenti a Mariano: “Sei stato bravissimo: in questa città la tristezza sarà la regola”. Quindi tirò fuori da una borsa uno strumento che somigliava ad un manometro, però più moderno, tutto digitale con molte spie colorate, gli e lo aveva regalato il tutor. “Con questo aggeggio, si può misurare il livello di tristezza nell’aria” e mentre lo diceva spinse un pulsante rosso laterale. Il contatore fece un pò su e giù, poi si fermò sul valore 430. “Quattrocentotrenta, sarà il nostro valore di partenza, entro fine anno conto di arrivare a 1000, il valore massimo”
I primi sei mesi di Tristonia passarono svelti, una nuvola di smog aleggiava sempre sui palazzi, gli incroci erano sempre congestionati e la birra nei bar era calda e sapeva di antibiotico, tuttavia il governatore avvertiva ancora troppa poca tristezza nell’aria: ogni mattina si affacciava dal suo balcone balaustrato e la misurava. Il valore dopo un primo periodo di crescita costante, si era fermato sui 640 e il presidente era preoccupato. Allora radunò tutti i suoi tutor e anche l’architetto Mattone, quindi prese alcune decisioni: fece abbattere altri 30 platani, chiudere un cinema, arrestare quattro cabarettisti e vietò l’ingresso in città del circo balcanico con i suonatori di balalaika. Il valore della tristezza crebbe ancora qualche decimo, poi cominciò addirittura a diminuire.
Bruttos, spazientito, mise fuorilegge le pizzerie, vietò la musica nei locali (sia dal vivo che dai cd), allungò l’orario lavorativo a 10 ore al giorno e fermò il campionato di calcio assegnando lo scudetto a tavolino all’International che era a metà classifica. I sudditi ingoiavano questi provvedimenti a malincuore, ma amavano il loro presidente e ogni volta si dicevano: “lo starà facendo per il nostro bene”. Tuttavia il valore della tristezza continuava a scendere. Un mercoledi di Marzo, inizio di primavera, crollò al valore minimo di 300.
Bruttos allora convocò Mariano Mattone e insieme decisero di passeggiare, in incognita, per le vie di Tristonia un Martedi mattina qualsiasi, per capire come era possibile una cosa del genere. Visitarono il mercato, due cantieri stradali con i consueti anziani a sentinella, presero un caffè corretto all’Aulin al bar della stazione, finchè a mezzogiorno preciso passarono dinanzi alla scuola elementare. Un suono stridulo di campanella, proprio in quel momento annunciava la fine delle lezioni. Fu un attimo e un nugolo di bambini, mamme con carrozzini e non, padri in tuta, nonni ancora deambulanti e insegnanti in ordine sparso li circondò completamente. I bambini urlanti si fiondavano giù per le scale e poi ancora verso il viale (una volta alberato ora tutto asfaltato) per raggiungere i familiari; le maestre li inseguivano prima di corsa poi solamente con lo sguardo. E via, baci e abbracci, risate, giochi a rincorrersi, scambi di figurine, grembiulini che volavano via come maglie dopo un goal.
Bruttos e Mattone rimasero fermi immobili, investiti da una valanga di felicità assolutamente inattesa ed incomprensibile ai loro occhi. “Eppure ho disegnato scuole bruttissime” disse l’architetto, “aule semibuie con interminabili corridoi. La colpa e’ dei bambini: sempre felici a prescindere”.
I bambini testimoni di una felicità inspiegabile, ignoravano il circo e i platani, mangiavano la pizza fatta in casa dalle loro mamme e non andavano al cinema. Ma qualsiasi provvedimento sarebbe stato inutile contro la loro allegria contagiosa. Bruttos licenziò immediatamente Mattone che finì a fare certificati energetici in Siberia, e mandò via a calci anche il suo tutor insegnante di tecniche di governo del popolo scadute da decenni. “Un popolo felice non ha neanche bisogno di un governo” gli disse mentre lo sputava in un occhio.
Poi tornò al suo palazzo, buttò via il misuratore di tristezza e chiamò il preside della scuola. Il giorno dopo assunse 20 bimbi, freschi di licenza elementare e gli fece disegnare una città nuova.
La chiamarono Felicia, venne molto disordinata, con colori messi là alla rinfusa e senza neanche un semaforo, ma piena di alberi e con bellissime scuole. Al centro c’era un bel lago dove Bruttos si dedicava alla pesca delle trote.
(p.s.: Tristonia fu presa in comodato d’uso dai cinesi, ora nei palazzoni ci sono infiniti centri commerciali, mentre sui viali asfaltati la notte si tengono le corse clandestine)
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