Giovedi scorso, otto Dicembre, ci ha lasciato, alla veneranda età di 95 anni, John Glenn, il primo occidentale in viaggio lungo l’orbita terrestre nel 1962, secondo assoluto poiché preceduto dal sovietico Yuri Gagarin, un anno prima.
Sia Glenn che Gagarin erano militari, aviatori.
Dopo di lui altri uomini (almeno così raccontano le cronache più attendibili), sono arrivati persino sulla luna con le missioni Apollo. Oggi andare nello spazio è diventata un operazione piuttosto consueta; persino Glenn invecchiato, all’età di 77 è tornato in orbita per studiare l’effetto fisiologico dello spazio sugli anziani, ogni tanto qualche miliardario decide di sponsorizzare una missione e di andarsi a fare un giro intorno alla terra. A volte ci riesce.
Dunque gli astronauti sono sempre militari o miliardari, al massimo ingegneri militari, di ingegneri miliardari astronauti non ci sono ancora notizie.
A mio parere anche altre professioni dovrebbero aprirsi all’eventualità di diventare astronauti. Ad esempio è strano che, finora, nessun architetto abbia provato a diventare astronauta. Forse la ragione è semplicemente che nessuno gli e lo ha mai chiesto. Per la categoria degli architetti si tratta di una nuova frontiera lavorativa da esplorare, una sorta di uscita di emergenza soprattutto in questi tempi di crisi, perché se c’è qualcuno che può trarre indicazioni da una visione aerofotogrammetria del territorio, questi è proprio l’architetto. Ma non solo per quello, molti altri fattori suggeriscono di scegliere un architetto per una missione spaziale.
Questo, dunque, è un suggerimento non solo per gli architetti in cerca di un nuovo lavoro ma anche per la NASA, l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), la Roscosmos (russa), la CNSA (cinese) e, non si sa mai, pure per la NADA (nordcoreana) che dicono stia facendo passi avanti notevoli ultimamente.
Prima di tutto l’architetto è una persona abituata al rischio, addestrato a fronteggiare situazioni di sicurezza al limite, tipo ponteggi in tubolari montati su terreni sconnessi e instabili, sopra scogliere isolate, con sbalzi che sfidano qualsiasi legge della statica. Ma non solo al rischio fisico l’architetto oppone solida resistenza, anzi quello sarebbe niente. Fronteggia pericoli di natura economica, giudiziaria e psicologica molto più ampi di quelli previsti in una banale missione spaziale.
Una volta sparato nella mesosfera, l’architetto potrà far valere le sue doti di osservazione e precisione, avvezzo alla lettura della zonizzazione di un PUC sovrapposto a piani territoriali paesaggistici, particolareggiati e di recupero che a sua volta sono sovrapposti alle aree vincolate per decreto o puntualmente tutto nella stessa mappa, datagli in dotazione una mappa interstellare, sarà in grado di riconoscere senza nessuno sforzo dove si trovano le costellazioni, i buchi neri e i meteoriti e persino se c’è traffico imboccando la prima stella a destra.
Inutile precisare che nel caso si debba uscire dalla navicella per dare un’occhiata alle varie apparecchiature, l’architetto effettuerà l’ispezione in assoluta serenità. Mèmore di sopralluoghi in cantieri simili a campi di battaglia, fronteggiando artigiani e committenti sul piede di guerra, per non parlare delle liti per fronteggiare l’attacco dei vicini di casa tormentati dai rumori, l’architetto camminerà nello spazio, beato come in gita scolastica, godendosi il panorama e, se pure dovrà portare con sé degli attrezzi, sarà ben allenato causa le numerose trasferte alle quali è stato costretto, trasportando zaini contenenti faldoni impressionanti o campioni di soglie in marmo del peso specifico pari a quello dell’Osmio (2,2 tonnellate a metro cubo)
Anche dal punto di vista della catalogazione l’architetto, abituato a controllare ed ordinare decine e decine di documenti tipo quelli che servono al genio civile per un deposito sismico, eseguirà il suo compito con estrema destrezza, senza dimenticare di censire nessuna delle comete che gli taglieranno la strada, nonché eventuali sassi cosmici che saranno poi usati dall’industria cinese della bigiotteria.
A chi sostiene che poi l’architetto potrebbe non avere la predisposizione fisica necessaria per affrontare un viaggio nello spazio, va ricordato che un vero architetto non ha né il tempo né la tranquillità economica per condurre una vita di agi, e di conseguenza si mantiene in forma non tanto perché pratica sport ma perché il suo mal di stomaco nervoso non gli consente di ingrassare. Inoltre, pur esistendo (non lo nego) architetti grassi, l’architetto tende naturalmente al dimagrimento, anzi al deperimento, in quanto è costretto di frequente a saltare i pasti a causa di quelli che lo cercano ma sono liberi solo alle 13.30, oppure sono liberi da mezzogiorno ma poi non se ne vanno mai prima delle 16. Un architetto, dunque, accoglierebbe la mancanza di gravità quasi come un risarcimento dovuto al peso della sua esistenza.
Ma il meglio di sé l’architetto lo darebbe nel caso di un eventuale sbarco sul suolo di un altro pianeta, poniamo caso la luna, anche perché per Marte mi sembra prematuro. Innanzitutto pochi come gli architetti sono bravi nel parcheggio (donne comprese), abili e rapidi perché non hanno mai il posto riservato, devono arrangiarsi in poco spazio e soprattutto occorre che lo facciano in poco tempo. Per questo, nonostante sulla luna non dovrebbero esserci problemi per trovare il posto, un architetto sarebbe assolutamente preciso nella manovra. Ma poi una volta messo piede sul suolo lunare, nessuno saprebbe effettuare le dovute misurazioni come un architetto. Che usi o no il disto, la rollina e il doppio metro, l’architetto se la caverebbe senza nessun problema effettuando un rilievo dell’area assolutamente preciso, già pronto per l’inserimento meccanografico all’Agenzia del Territorio lunare. Inoltre opererebbe in preda ad uno stato di meraviglioso entusiasmo, dinanzi a tutto quel suolo edificabile.
Ma, soprattutto, sceglierebbe una frase più originale di quella di Armstrong. Direbbe qualcosa del tipo: “Qui bisogna chiamare un idraulico”, oppure “scusate, prima di procedere occorre che mi firmiate la lettera di incarico” o meglio ancora: “quanti crediti di aggiornamento mi vale tutto questo ?”
L’unico inconveniente sarebbe che l’architetto, come stanno le cose adesso sulla terra, difficilmente tornerebbe indietro.
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