La pubblicazione di una qualsiasi sua foto sul profilo social, consente a Nunzia di ricevere, ogni volta, una serie di richieste di amicizia da parte di improbabili spasimanti.
Nunzia è usuale cestinare almeno il 90% di questi inviti (in alcuni casi anche il 100%) ma non senza aver almeno letto i messaggi che li accompagnano e che, in taluni casi, appaiono come vere e proprie suppliche.
Dall’arrivo periodico e pressoché continuo di queste richieste, Nunzia, nel corso degli anni, è riuscita a delineare un quadro sociale e psicologico del maschio medio che prova interesse nei suoi confronti.
Talvolta ne discutiamo, ma sapendo l’importanza che attribuisce a tali corteggiatori, i nostri ragionamenti si svolgono senza che io le muova nessuna ostilità.
Non provo nessuna avversione verso coloro che, ammaliati dalle sembianze di Nunzia, provano la sorte, inviandole un messaggio. Li capisco.
“Si tratta in gran parte di uomini «occupati»” mi dice.
“Spiegami «occupati»”.
“Sposati, fidanzati, conviventi, anche separati ma con trascinamenti matrimoniali ancora in corsa. Il catalogo è variegato”.
“Immagino che gli impegnati vengano scartati immediatamente”.
“No. Non è quello il principale discrimine”.
Apprendo così, sorprendentemente, che Nunzia non esclude di dare una chance anche ad uomini sposati o formalmente legati ad altre donne.
“La vera selezione è su base linguistica” mi spiega Nunzia.
“E non parlo di quei messaggi del tutto banali, con apprezzamenti formulati senza nessuna fantasia. Ne faccio proprio una questione di grammatica e ortografia”.
Le rimostranze di Nunzia mi convincono quanto la scrittura oggi sia un problema che riguarda la maggior parte degli adulti.
Stiamo percorrendo, a ritroso, il sentiero di un’analfabetizzazione di massa.
L’incapacità di elaborare un periodo scritto correttamente dovrebbe indurre le persone a vergognarsi di renderlo pubblico. Perché non accade? Me lo chiedo spesso.
E’ per questo che Nunzia riceve così tanti messaggi privi di senso, sgrammaticati, punteggiati a caso. Pensati mali e scritti peggio.
“E’ tutta gente che inserisco nel girone degli ignoranti” mi dice Nunzia, dantesca, esibendo un sorriso enorme.
La sua gogna ha differenti livelli di selezione.
“Il primo riguarda le basilari regole ortografiche”.
“Tipo «e» senza accenti e «a» senz’«h» ?” domando.
“Certo. Ma anche strafalcioni come glieri, quore…”.
Rimaniamo qualche secondo in silenzio, come a officiare questo particolare lutto della lingua italiana.
“Questi autori vengono eliminati immediatamente. Poi, certo, esistono altri errori, pure gravi.
Infatti il setaccio di Nunzia si restringe ancora.
“Nel secondo livello scarto quelli che sbagliano gli apostrofi e gli accenti”.
“Fammi un esempio”.
“Un tipo mi scrisse: «un’altro al mio posto ti avrebbe già invitato a cena…»”
“L’errore c’è. Ma lui com’era?”.
“Non è importante, l’errore era imperdonabile! Un tale mi scrisse «posso avere un pò della tua attenzione?». Un altro, lanciandosi in uno slancio poetico, rischiò con un: «in giro di belle come te non c’è n’è».
Povera Nunzia! Su apostrofi ed accenti vede sfumare sul nascere la maggior parte delle ipotetiche, misteriose, storie d’amore.
Forse ambisce ad essere corteggiata da insegnanti di lettere, scrittori di romanzi d’appendice, secchioni indomabili.
“Non pensi sia più importante il contenuto che la forma?”
Nunzia ci pensa un po’ su, ha solo un attimo di sbandamento poi, recuperando la sicurezza, mi risponde.
“Se la forma è così imprecisa, non mi interessa il contenuto!” sentenzia.
Cerco di traslare questa massima nella vita di tutti i giorni.
Quanti depongono buone intenzioni in maniera brusca e compiono, sgraziatamente, azioni virtuose?.
Fino a quando possiamo perdonare la sciatteria, se alla base c’è sincera applicazione?.
Certo, se solo la perfezione contenesse la qualità, sarebbe assai arduo scovarla.
“L’ultimo livello riguarda il tempo dei verbi” mi spiega.
E qui avverto un leggero fastidio. Pure io, tempo fa, fui richiamato per aver utilizzato il verbo all’imperfetto in una frase dove era certamente più adeguato il congiuntivo. Me la cavai adducendo la motivazione che fosse un imperfetto ipotetico. Fui riabilitato.
Nunzia a quel punto tira fuori dalla borsa il cellulare e mi mostra uno degli ultimi messaggi ricevuti. Dice: “Usciresti con me se ti inviterei a cena?”.
Quindi punta il dito sullo schermo scorrendo verticalmente la pagina. Mi mostra altri messaggi.
“Se fossi un ladro, avrei rubato i tuoi occhi per metterli in una cassaforte”.
“Ora che hai trovato me, è arrivato il momento che tu smetti di cercare…”
Penso siano sviste perdonabili. Guardo Nunzia invocandole un minimo di comprensione ma lei resta inflessibile.
“Non sono errori così gravi!” provo a sminuire.
“Sbagli! Sul congiuntivo e il condizionale non va concessa nessuna tolleranza”.
Riposiziono lo sguardo sullo schermo, mentre Nunzia lo riporta su. Non posso evitare di scorgere la foto che ha generato le ultime richieste.
L’immagine è scattata dall’alto, come da manuale del selfie. C’è lei seduta alla scrivania di casa, dinanzi al computer. E’ vestita in nero, dalla piega del decolté si intravede la curvatura a valle di un seno. Si tiene la testa con la mano che non regge lo smartphone e che scompare nella nuvola di capelli arruffati. Un ciuffo le finisce sul viso, coprendole un occhio. Ma le basta l’altro, del quale un tratto di matita traccia fermamente il perimetro, per fissare languidamente l’obiettivo.
La foto è anche accompagnata da una frase, la leggo velocemente, prima che Nunzia scurisca il display.
“Avrei fatto dello jogging oggi, se non fossi così stanca”.
Mi pare di sentire la sua voce sottile mentre lo dice, con quei verbi stupendamente coniugati, dalla bocca segnata da un filo di rossetto pallido.
Sto per dire che è anche un po’ colpa sua se le arrivano così tanti messaggi e così poco lucidi.
Ma non voglio finire in una disquisizione nella quale io finirei per essere un sessista e lei la paladina dei diritti delle donne.
D’altronde mi fa piacere che lei scarti chiunque commetta anche soltanto un piccolo errore di grammatica. Lo considero un premio che, ovviamente in maniera inconsapevole, attribuisce alla mia precisione filologica.
Se l’italiano è una lingua ostica, ci sarà un perché.
A sera ho spiato il suo profilo social e ho scoperto che aveva pubblicato una nuova foto.
Questa volta è in tenuta ginnica, aderente, blu notte, al parco, che esegue un esercizio di allungamento della gamba destra, stendendola sul sedile di una panca.
La sua silhouette sinuosa si staglia nell’ombra come il profilo di un paesaggio collinare visto dal finestrino di un treno.
La nuvola di capelli riflette sotto la luce gialla di un lampione, mentre all’orizzonte, sfuma il tramonto.
La foto è accompagnata dalla solita frase sibillina: “Oggi ho trovato un buon motivo per fare jogging. Ma non ve lo dico”.
Per scherzare, le invio subito un messaggio: “Almeno a me, lo dici qual’è il motivo?”
Faccio tutto troppo in fretta; abbandono là un apostrofo.
E in un attimo mi ritrovo, anch’io, nel girone degli ignoranti.
FOLLOW ME ON TWITTER: @chrideiuliis – search me on LINKEDIN
Leggi altri racconti: Partire