IL FUNERALE

Pino apprese della morte di Alfredo in modo del tutto casuale.

Io e Pino ci vedevamo raramente.

Vivevamo entrambi in città e tornavamo in paese solo per le vacanze estive.

«Occorre che andiamo al funerale» gli dissi al telefono.

«Oddio, tutta quella retorica sul morto… detesto i funerali! L’unico al quale garantisco la presenza sarà il mio» rispose.

«Lo dobbiamo ad Alfredo. Non possiamo mancare!» conclusi.

Alfredo era il nostro più caro amico di gioventù. Insieme avevamo girato mezza Europa. Anche se non ci frequentavamo più da molti anni, eravamo rimasti molto legati.

Stabilimmo di incontrarci nel primo pomeriggio al casello autostradale e di procedere con un auto sola.

Il funerale di Alfredo si celebrava in un piccolo cimitero in campagna nei pressi della casa dei genitori.

Giunti sulla provinciale girammo a lungo, sbagliando più volte strada, prima di trovare il camposanto.

Arrivammo a funzione già iniziata.

Un piccolo capannello era disposto in cerchio intorno alla bara poggiata su due assi che la tenevano sospesa su una fossa. 

Il sacerdote stava leggendo un brano sulla resurrezione, quando ebbe finito ripose il messale e iniziò l’omelia.

«Un autentico credente ha sempre un posto speciale nel regno dei cieli» disse.

Alcuni annuirono col capo.

Una donna interamente vestita di nero con un velo schiacciato sul capo piangeva singhiozzando.

«E’ la madre?» mi chiese Pino.

«Credo di si» risposi.

«Povera. Lo strazio l’ha rimpicciolita».

«Ricorderemo la sua bontà e il suo sorriso. Quella gioia di vivere che ha conservato fino alla fine nonostante tutta la sofferenza che ha patito» disse il prete.

«Ma come è morto?» mi bisbigliò Pino.

«Boh. Pensavo all’improvviso» risposi.

«Da oggi in poi nulla sarà come prima» proseguì l’officiante «il vuoto che lascia nella famiglia e nel lavoro è enorme. Ma tutti si faranno coraggio e continueranno la sua grandiosa opera».

«Di cosa si occupava Alfredo?» chiesi a Pino.

«Ero rimasto che lavorava alle Poste».

Pino allargò le braccia.

«Siamo sicuri che da lassù hai già perdonato tutto il male che ti è stato fatto» concluse il sacerdote mentre i gemiti della donna crescevano in intensità.

“Eravamo compresi anche noi tra quelli che lo avevano deluso? Non esserci fatti sentire per tanti anni lo aveva forse ferito?” mi assalì il dubbio.

«Affidiamo dunque quest’anima alla tua misericordia Signore» disse infine il sacerdote.

 «Amen» rispondemmo all’unisono.

Una ragazza accompagnò due bambini verso la donna vestita di nero che li prese per mano.

Il prete attaccò allora “L’eterno riposo”.

«Eterno riposo dona a loro, o Signore, e splenda …» recitammo insieme.

Un uomo con la barba bianca imbracciò un violino e suonò una lentissima nenia.

Un asfissiante silenzio ci avvolse completamente.

Quattro giovani nerboruti sbucarono dal nulla e, agendo su delle funi, calarono la bara sul fondo del fossato.

La donna e i due piccoli allora si mossero. Arrivarono fino in prossimità della buca, raccolsero delle pietre dal selciato e le lanciarono al suo interno. L’eco sordo dei sassi che colpivano il coperchio della bara risuonò dal solco.

Allora tutti si avvicinarono e fecero cadere dei sassi nel fosso, anche io e Pino.

Ritornando al mio posto provai, senza successo, a riconoscere qualcuno dei presenti.

Vidi che ora, non solo la donna, in molti piangevano.

Sorpresi Pino asciugarsi le lacrime col dorso della mano.

Era stata una cerimonia davvero toccante; quando il terreno ricoprì interamente la cassa anch’io non riuscii a trattenere la commozione.

Lasciando il cimitero ci accorgemmo che si era fatto, improvvisamente, buio.

Ci rimettemmo in viaggio.

Prima di ritrovare l’autostrada sbagliammo ancora, più volte, strada.

Facemmo tutto il tragitto mesti, scambiandoci pochissime parole.

Arrivammo al casello tardissimo.

Pino accostò e spense l’auto.

Restammo alcuni minuti a guardare fuori attraverso il parabrezza.

«Chissà di quale sofferenza parlava il prete …» mugugnai.

«Io so che è morto d’infarto fulminante» disse Pino.

«La madre me la ricordavo più alta» rifletté poi.

«Anche meno giovane» aggiunsi.

«Era credente Alfredo?»

«Non andava a messa neanche a Natale. Lo so per certo».

«Forse negli ultimi tempi… » dubitai.

«Mica erano figli suoi quelli!».

«… magari segreti …».

«La gioia di vivere… con quel carattere…».

«E la bontà? Il sorriso?»

«Non ha mai offerto neanche un caffè» rammentò.

«Gli mancava pure un incisivo inferiore!».

«… però sacrificato per una buona causa…» disse Pino ridendo fragorosamente e contagiando anche me.

Ridemmo senza freni per un bel po’ come non ci capitava da anni, inseguendo, uno dopo l’altro, decine di aneddoti della nostra adolescenza.

Ancora ridacchiando scesi dall’auto: s’era fatta notte.

«Per questo non voglio mai andare ai funerali» mi urlò Pino dal finestrino, mentre mi allontanavo.

Si rischia di sbagliare morto.

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