I NOSTRI FANTASMI

fantasmiQuando ero piccolo dormivo con la luce accesa.

Una piccola luce, una lampada a forma di uovo poggiata sulla libreria. Premevi un pulsante e la luce si faceva fioca. Era la luce della notte. La lasciavo accesa perché ero convinto che se l’avessi spenta sarebbero arrivati i fantasmi. I demoni, i mostri. Insomma, quelli là. L’ombra degli oggetti della mia stanza, proiettata sui muri mi faceva compagnia se riaprivo gli occhi. I miei soliti oggetti erano la sentinella contro i fantasmi. E’ bello essere bambini perché i fantasmi sono quelli con il lenzuolo bianco addosso e gli occhi sono due fessure scure; scompaiono al mattino ma anche di notte basta tenere la luce accesa e non arrivano mai. E se anche fossero arrivati, potevo correre nel letto dei miei genitori.

Comoda la lotta contro i fantasmi se sei un bambino.

Da adolescente mi piaceva il buio, in camera tenevo sempre le luci basse e di notte mi piaceva leggere. La notte era la mia migliore amica, non pensavo ai fantasmi ma alle cose che volevo fare da grande. Se il giorno dopo potevo dormire, restavo sveglio fino a tardi. Per un periodo ho scritto poesie. Mi piaceva tanto Hikmet. Sulla libreria incollavo le sue poesie.“Impossibile dormire la notte qui a Varna, impossibile dormire (…)

Per via del rumore di un motore sul mare come un cuore che batte.

Per via dei fantasmi venuti da Istanbul (…)

Impossibile dormire la notte qui a Varna. Impossibile dormire”.

Spesso ero solo da adolescente. La mia camera era il mio rifugio. Avevo pochi amici perché mi sentivo diverso. L’imbarazzo, l’insicurezza , la timidezza erano i miei fantasmi. Erano fantasmi testardi e resistenti, ma in fondo passeggeri. Scomparivano poco per volta. Bastava prendere un bel voto a scuola. Bastava trovare nella cassetta della posta la lettera di una ragazzina o sentire la sua voce al telefono. In fondo, bastava poco.

Da adulto, improvvisamente, ho smarrito la strada. Sai quando guidi e ti trovi in un territorio mai visto e il navigatore della tua vita ha perso la rotta. I fantasmi sono arrivati tutti insieme, si nascondevano in ogni posto, in ogni luogo delle mie scelte. Con le mie parole costruivano enormi grattacieli di paure. Ogni parola un mattone. Strade di incertezze, le ho percorse tutte di corsa perché volevo trovare la via d’uscita. Ma ad ogni angolo un fantasma combatteva contro un mio sogno. E i sogni si sono fatti realtà e ad ogni fantasma ho dovuto dare una risposta. Gli adulti chiamano fantasmi i consigli della coscienza, i ricordi che si trasformano in rimpianti. Chiamano fantasmi le malattie, il lavoro perduto, le occasioni che non tornano. Chiamano fantasma il nodo in gola che ti blocca il fiato quando dovresti parlare. Il peso delle gambe quando bisogna partire. Da adulto ho lottato anni contro i miei fantasmi.

Ne sconfiggevo uno e ne tornavano indietro altri dieci. Alla fine mi sono arreso e ci ho vissuto insieme.

I vecchi non hanno più paura dei fantasmi, come i bambini. L’età aiuta a capire che i fantasmi semplicemente sono una parte di noi. Nascono, crescono, muoiono con noi, dentro di noi. Sono le cose con le quali si trascorre più tempo durante la vita. Ci sono quando siamo soli, quando pensiamo di essere felici, si nascondono negli armadi della consapevolezza, sono nel passato e nel futuro. Alloggiano nelle nostre speranze, si portano via le nostre attese. Li ritrovi in una vecchia foto o nel testo di una canzone. E siccome non hai più l’energia per farci la guerra, ci fai la pace. Gli dai un nome e te li porti conte.

Solo così i fantasmi non ci sono più.

 

Testo teatrale – monologo di introduzione alla commedia “Questi fantasmi” (di Eduardo De Filippo), per la compagnia del teatro Instabile (Valdobbiadene – TV ) – prima: Agosto 2013.

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