Gentile LPP.
La informo che ho comprato il suo libro “La storia dell’architettura 1905-2018”.
Un libro straordinario. Non ne dubito.
E’ stato un gesto tanto istintivo quanto repentino. Ero su Amazon alla disperata ricerca di un mobile bagno sottolavello angolare e, improvvisamente, ecco comparire il suo libro sotto forma di ambiguo suggerimento.
Vittima di ipnosi ho cliccato più volte sul tasto sinistro del mouse; una micidiale sequenza che mi ha consentito di riceverlo direttamente a casa dopo solo tre giorni, di cui uno festivo.
Ma non le scrivo per questo.
Sia chiaro: non ho alcuna intenzione di leggerlo. Di certo non ora che sono impegnato con Simenon e DeLillo e comunque, anche se decidessi di farlo, non tutto di seguito: non potrei mai sostenere la lettura di 760 pagine interamente dedicate all’architettura.
Le confesso, però, che mi intriga molto l’utilizzo dell’articolo nel titolo del volume: “La” storia dell’architettura.
Perché non chiamarlo semplicemente “Storia dell’architettura”?.
Vuole forse ergersi a unico detentore della verità?. Che forse le altre “storie” sono meno “storie” delle sua? E’ un sintomo della sindrome dell’egocentrico?. Ecco, prima di affrontarne la lettura io aprirei un dibattito sulla presenza dell’articolo “la” nel titolo.
Ma non le scrivo per questo
La prima questione è quella di decidere dove custodire il libro.
Ho fatto varie prove. La libreria di casa non mi pareva adeguata. L’ho subito trasportato presso il mio studio. Qui, può stare in molti posti.
Ad esempio: nello scaffale all’ingresso dove espongo alcuni oggetti rari. Tra cannocchiali post bellici e macchine da scrivere del XIX secolo.
Ma l’avrei trattato come un’antichità da negozietto vintage; un oggetto da collezione.
Lei pensa che lo diventerà? Tra trent’anni, forse. Ma per ora mi pare prematuro.
Ho valutato altre scelte.
Ho provato a portarlo con me in bagno. E’ là che mi vengono le migliori idee.
Alla toilette non dispiace. Ha capitoli corti, adatti per soste brevi ed un mucchio di figure che incuriosiscono. Ma per un libro di tale impegno, tra riviste e cataloghi di piastrelle, non è il gabinetto la sede giusta.
L’ho poi poggiato, e lasciato là per qualche giorno, sulla mia scrivania; “in caso di incontri con clienti di una certa levatura, potrebbe servire per fare una buona impressione” mi sono detto. Ma, innanzitutto non esistono più clienti “di una certa levatura” e poi la porzione di volume che occupa è eccessiva.
L’ho sfrattato.
Ho provato ad alloggiarlo nella libreria che ho alla parete, rilevando una certa fatica nell’incastro. Per garantirgli una sede stabile dovrei espellere altri testi. Un operazione doverosa ma impegnativa che, in questo momento, le mie vertebre lombari mi sconsigliano. La libreria resta un ipotesi valida nel lungo periodo ma, nel frattempo, preferisco altre soluzioni.
Tra i fascicoli di lavoro, ad esempio. Come distrattamente dimenticato tra sanatorie edilizie, ristrutturazioni decennali, DOCFE, APE, preventivi mai consumati. Là sarebbe sempre a portata di mano. Ogni tanto tra una disperazione e l’altra, lo apro, leggo un capitolo, lo richiudo e lo abbandono nuovamente tra le scartoffie.
Anche dal punto di vista cromatico, si abbina bene con il bianco dei fogli, i risvolti delle pratiche e il mobile basso.
Così ho deciso. Per ora lo lascio là.
Ma non le scrivo per questo.
L’ho fatto per chiederle se, lei che sa tutto, sa anche dove posso trovare un mobile bagno sottolavello angolare.
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sei sempre unico! “La, “La”, “La”…