Se amate il tennis e avete un cespetto di capelli bianchi sulle tempie, ritagliatevi qualche ora di tempo e guardatevi (se non lo avete ancora fatto) “Una squadra”, la serie che Domenico Procacci ha realizzato per Sky (la trovate su Raiplay a questo Link) che narra la storia, ma oserei dire l’epopea, della compagine italiana di Coppa Davis tra il 1976 e il 1980; anni durante i quali raggiunse per ben 4 volte la finale della competizione, vincendola solo nella prima occasione, nella storica finale giocata a Santiago del Cile nel dicembre del 1976. Affermazione mai più bissata.
Protagonisti di questa magnifica vicenda di sport, politica e costume sono i quattro componenti della squadra: Corrado Barazzutti, Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli detto Tonino (sostituito nel 1980 da Gianni Ocleppo) e il capitano non giocatore, il mito, Nicola Pietrangeli esonerato dopo la finale persa in Australia nel 1977.
Furono quelli non solo gli anni d’oro dell’Italia del tennis ma anche quelli di maggiore splendore della Coppa Davis, considerata un vero e proprio campionato del mondo a squadre. Niente a che vedere con la manifestazione di oggi.
Nel 1976 l’Italia si ripresentava in finale dopo le due sconfitte del 1960 e del 1961, ma l’avversario ospitante, il Cile era sotto il giogo della dittatura militare instaurata dal generale Pinochet nel settembre di tre anni prima.
Pur non essendo tagliato fuori dagli eventi sportivi, il Cile aveva già subito un boicottaggio, non a caso dall’Unione Sovietica che non si presentò per giocare la gara di ritorno dello spareggio per l’accesso ai mondiali di calcio da disputare nell’estate successiva in Germania Ovest. Le immagini di quella partita, giocata per soli 20 secondi e solo dal Cile, il tempo di segnare un goal senza avversari, descrivono il clima che si respirava a Santiago in quegli anni.
Dopo tormentato dibattito politico la squadra italiana decise di recarsi in Cile e giocare la finale. Decisivo fu l’apporto del diplomatico italiano, Tomaso De Vergottini, che dopo aver salvato decine di rifugiati, barattò la liberazione di due esponenti del partito comunista cileno con la promessa di impegnarsi per garantire la presenza di Panatta e soci alla finale di Davis.
La dittatura trattò gli italiani coi guanti bianchi, mostrando il suo volto gentile mentre gli internamenti, le torture e le esecuzioni capitali, continuavano ad essere eseguite.
L’esito di quella finale non fu mai in discussione. Sul punteggio di 2 a 0, dopo aver vinto il proprio singolare, Panatta decise che il giorno dopo, lui e Bertolucci, avrebbero giocato il doppio indossando una maglietta rossa (colore simbolo del comunismo e quindi pressoché tabù in quegli anni in Cile). Provocazione che passò inosservata anche perché, a parte i 4000 presenti allo stadio del tennis quel giorno, tutti gli altri videro l’incontro (o meglio i primi tre set, poi alla pausa le magliette furono sostituite dalle classiche divise azzurre) in televisione, che trasmettendo ancora in bianco e nero non dava certezze sui colori.
Quella della Coppa Davis in Cile nel 1976, può oggettivamente definirsi la più suggestiva delle vittorie di squadra dello sport italiano. Ottenuta da una formazione composta da atleti molto diversi tra di loro.
Panatta, talento purissimo e idolo assoluto, Barazzutti imperturbabile «fondocampista», Bertolucci specialista della rete, e l’irrequieta riserva Zugarelli che, marito e padre giovanissimo, decise di giocare a tennis per poter mantenere la famiglia. Sullo sfondo l’incompatibilità assoluta con l’alterigia di Pietrangeli, mai disposto a restare «tra le quinte», silurato tramite quella che lui stesso definì “una congiura”.
Questi e molti altri personaggi satelliti con decine di aneddoti vedrete nelle sei puntate della serie, cosi come le cronache delle tre finali, giocate sempre in trasferta e perse.
Ma “Una squadra” al di là delle vicende agonistiche e personali degli interpreti, è un formidabile ritratto di un periodo storico irripetibile.
Della passione e del fascino che gli eroi della racchetta (di legno) esercitavano nei rotocalchi e nelle trasmissioni televisive. Un tennis solenne e romantico, oggi completamente scomparso; leggende metropolitane, campi esotici, trasferte lunghissime o blindate oltre la «cortina di ferro».
Ma “Una squadra” è anche l’occasione per ammirare, attraverso la lente d’ingrandimento dello sport, un affresco fedelissimo dell’Italia della fine degli anni ’70: feroci, insofferenti e, per taluni versi, ancora indecifrati.
(“Una squadra” è anche un libro di D.Procacci, Fandango Libri)
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