DIECINCONTRI

La prima volta fu in spiaggia.

Lei aveva 3 anni e lui 5. Lei costruiva castelli di sabbia, lui glieli distruggeva.

Lei allora li rimetteva su. Lui tornava a distruggerli.

“Smettila!” gli disse lei.

Lui non disse niente. Scappò.

Troppo presto.

La seconda volta fu alle medie.

Nel cortile, il primo giorno di scuola. Lui bullo, lei matricola.

“Ciao. In che sezione sei?” chiese lui.

“Nella «C». Primo piano” rispose.

“Peccato. Io «A». Al terzo”.

E là finì. Troppo difficile.

La terza al diciottesimo di lei.

“Chi ti ha invitato?” gli chiese.

“Amico di amici”.

“Mi fa piacere” disse lei.

“Anche a me”.

“Balliamo?” gli chiese.

“Non so se posso”.

“Impegnato?”.

“No. Distorsione al ginocchio”.

Desistettero. Troppo pericoloso.

La terza fu all’università. Occupata.

“Da dove provieni?” le chiese.

“Da lettere moderne”.

“Ognuno si occupi la sua facoltà” disse brusco lui.

“Se mi insegni…” lo pregò lei.

“Sei un’infiltrata?” dubitò lui.

Lei tornò a casa.

Troppo stupido.

La quarta fu di nuovo al mare.

Lui in barca, lei sul materassino.

“Tutto bene?” le chiese.

“Ho bisogno di un passaggio” rispose lei.

“Salga a bordo”.

Una gita breve, fino a riva.

“Ci vediamo stasera, se vuoi” disse lei.

“Vorrei. Ma…”.

“C’hai una?”

“Una” ribattè lui.

“E domani?”.

“Domani…”.

“C’hai un’altra?”.

E si salutarono. Troppa folla.

La quinta fu in chiesa. Al portone.

Lui attendeva la sposa. Lei lo vide da lontano e lo raggiunse.

“Ah. Quindi ti sposi”.

“Così pare”.

“E’ una?”.

“No. E’ l’altra”. E rise.

“E’ in ritardo!”.

“Magari non viene, puoi sostituirla”. E ririse.

“Non ho i capelli in ordine…”.

E si allontanò. Troppo impegnativo.

La sesta volta fu per caso.

Ai giardinetti. Lui spingeva un passeggino.

“Ma che bello!” disse lei.

“Bello si”.

“…rivederti… ma che bello pure il bimbo”.

“Si. Lui è Nicola. Il terzo”.

“Complimenti”.

“E te?”.

“In attesa”.

“Bhè. Bello dai”.

Seguì silenzio.

“Adesso è l’ora della pappa. Noi andiamo”.

Troppo imbarazzante.

La settima fu ancora a scuola.

All’incontro scuola-famiglia.

“Suo figlio è intelligente. Ma si applica poco” gli disse lei.

“Ha sempre la testa tra le nuvole”. Concordò lui.

“Avrà preso dal padre!”

Entrambi risero.

“Più probabile dalla mamma” la interruppe “Fa tre settimane con lei ed una sola con me”.

Risero meno.

“Ma i bimbi sono sempre belli” disse lei.

Ma non risero più. Anzi, una lacrima le corse sul viso.

Troppo triste.

L’ottava fu al cinema.

Seduti in poltrone distanti. Soli.

Si scoprirono all’intervallo. Lei andò a sedersi accanto.

Fianco a fianco terminarono il film.

“Vieni spesso qui?” chiese lui all’uscita.

“Ogni Giovedi. Al cineforum. E tu?”.

“E’ la prima volta”.

“Se torni Giovedi prossimo, ne danno uno bello…”.

“Giovedi prossimo sono in viaggio. Lavoro”.

“E l’altro ancora?”

“Sto fuori due settimane. Forse tre. Non so”.

“L’altro ancora c’è la pausa. Chissà se riprende in primavera”.

“Ti lascio il contatto. Mi fai sapere”.

Troppo incerto.

La nona volta si incontrarono su meetic.

Via social.

Perché oramai lui viveva lontano.

“Come mai ti sei iscritto?” gli chiese.

“Per noia” rispose “E tu?”.

“Per solitudine” ammise lei.

“Posso farti compagnia?” chiesero entrambi, all’unisono.

Lunghe chat. Belle parole. Ricordi. Foto. Promesse di incontri.

Poi nulla.

Troppo virtuale.

La decima volta fu l’ultima.

In quell’occasione lui pianse disperato.

I presenti lo guardavano interdetti.

“Forse l’amava” disse uno che portava la bara di lei.

Troppo tardi.

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