LE FOTO CHE HO

EriceIn fondo con gli edifici è più semplice. L’architettura si lascia fotografare paziente. Invecchia, ma molto lentamente, impercettibilmente. E l’attimo sembra fermo. Se non ti piace la luce puoi ripresentarti il giorno dopo, girargli intorno, scrutare la migliore prospettiva. Studiare, capire, tornare.

Non come con gli umani. Che hanno sempre premura. Che hanno un attimo, uno solo e poi non sono più cosi. Che mentre gli dici “sorridi”, già sono stufi, che se viene male la prima, la seconda è già una farsa. Gli uomini e le donne che imbiancano da un giorno all’altro, che ingrassano, si curvano, diventano irriconoscibili. E soprattutto non puoi decidere di tornare il giorno dopo, perché poi non sarà mai come il giorno prima. E poi potresti non trovarli.

Cresco in un periodo in cui ogni singola foto aveva un valore.

Ecco perché, forse, non ne ho, non ne abbiamo tante. Le nostre foto antiche, sono sempre uguali: raccontano di compleanni, comitive sgangherate, gite scolastiche. Non era così semplice comparire in una foto. Così si sono formati quei buchi enormi nella nostra vita, frazioni di tempo dove non mi ricordo com’ero, potrei riconoscermi certamente, ma non posso. E oramai nessuno può più farlo.

Dell’estate dei miei quindici anni ho soltanto una foto, è quella di un torneo di calcetto. Serissimo guardo dentro l’obiettivo. In quell’immagine non c’è niente di quello che ero allora. Non ci sono le mie prime poesie, gli occhi azzurri di quella ragazzina bionda, non ci sono i tuffi dagli scogli e le corse a nascondino. C’è solo uno sguardo vuoto e teso, durato un istante: questo è il vero problema di una foto. Quando venne quel Settembre, ascoltavo una canzone e mi chiedevo chi o cosa mi avrebbe ridato, un giorno, indietro una foto di quell’estate.

Pensavo troppo avanti; già nel tempo dove fotografarsi viene prima di vivere. E poi le foto hanno perso consistenza, ne fai mille, ne vorresti altre mille, ma restano su uno schermo, tutte uguali. Non puoi toccarle, non le tieni nel cassetto; così spariscono. Gli edifici puoi tornare a guardarli se non sei convinto, tu e le tue foto no.

Io con gli anni ho riempito quel vuoto; non l’ho fatto di proposito: è quello che è capitato. Di queste ultime estati ho delle splendide foto, non sono tante, sono quelle giuste per raccontare quello che c’è stato. E non sono di tutti, sono solo nostre. Ci sono state le foto, c’è stata anche la vita. Molta vita.

Anche di quest’estate mi rimangono delle foto. Ora sono ancora sparse, vanno riordinate, fissate su carta patinata, inserite in un raccoglitore. Non sono tante, ma domani, riguardando l’indietro, avrò qualcosa da appendere al calendario dei ricordi. Poche cose, molte cose. Quelle importanti. Dei sorrisi, luoghi che non conoscevo, un panorama sullo sfondo, io e te.

Non suona più quella canzone. Anche se non l’ho mai dimenticata.

“Che è finita e tra le dita, non ci sono che fotografie “

Domani è Settembre. Dicono pioverà.

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