Dicesi dimissioni l’”Atto con cui una persona o un gruppo dirigente rimette il mandato che ha avuto e/o rinuncia a una carica”.
Apparentemente un gesto semplice ed immediato, ma non in Italia dove dare le dimissioni è un’impresa da rivoluzionari.
Con sparute eccezioni, in relazione alla varietà dei casi.
Nel giugno del 2011, Umberto Veronesi si dimise da ministro della sanità del governo “Amato II”, per le sue posizioni, non condivise dalla maggioranza, su eutanasia e aborto.
Pochi anni prima, nel luglio del 1990, l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella si dimise dall’incarico di ministro della pubblica istruzione (insieme ad altri esponenti della sinistra democristiana quali Martinazzoli, Misasi, Fracanzani e Mannino) per protestare contro la fiducia posta dal governo “Andreotti VI” sul disegno di legge ”Mammì” di riassetto del sistema televisivo che di fatto introduceva il duopolio Rai-Fininvest.
Tenere la schiena dritta è chiaramente l’esercizio più complicato dello yoga governativo.
C’è anche chi si dimette per decoro, investito da un’inchiesta giudiziaria o al centro di uno scandalo. Piero Marrazzo non ebbe altra scelta, quando nel 2009 abbandonò la presidenza della Regione Lazio dopo la diffusione della notizia delle sue frequentazioni con ambienti trans e dediti al consumo di droga.
Altrove, nel 2017, Masahiro Imamura, ministro giapponese per la ricostruzione dopo il disastro di Fukushima, è stato costretto a dimettersi per una gaffe durante un incontro con i membri del partito Liberal democratico. Aveva detto che: “era un bene che il terremoto si fosse verificato nell’area rurale del Tohoku e non nella zona urbana di Tokyo, perché altrimenti avrebbe causato danni molto più ingenti”. Evidentemente in Giappone basta meno.
Ci si può dimettere anche per convenienza, ovvero per salire di grado (Draghi potrebbe dimettersi da palazzo Chigi per “salire” al Quirinale) o per denunciare la mancanza di mezzi. Sperando di provocare una reazione, nel caso ci si accorga di non riuscire a svolgere il proprio compito per l’insufficienza delle risorse. Il neo sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi ha chiesto al governo 200 milioni per cinque anni e la possibilità di assumere almeno mille persone per fronteggiare la gravissima condizione in cui versa la città. In assenza di risposte ha minacciato di dimettersi.
La storia non racconta di dimissioni per dichiarata incapacità. Tutti si valutano sufficientemente abili. Più piccolo e incapace è il politico, meglio resta immobile dinanzi a qualsiasi scandalo, inchiesta giudiziaria, gaffe, clientela, inefficienza.
Spesso, gli impassibili si riconoscono per le lezioni di moralità ed efficacia che puntualmente impartiscono attraverso raffinate interpretazioni teatrali, televisive.
Eppure, in settori decisivi come ad esempio la sanità, talune dimissioni sarebbero provvidenziali.
(quest’articolo è stato pubblicato nella rubrica “L’Archritico” su ulisseonline.it)
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