Salvo e Letizia camminavano sul bordo della strada. Uno accanto all’altra, tenendosi per mano; uscivano da un corso di aggiornamento, una di quelle cose che devono fare per forza ma che gli piace solo se riescono ad andarci insieme. Perché poi possono parlarne, commentare, farne argomento di conversazione a cena. Comunque quella sera camminavano paralleli anche se il marciapiede è stretto e si sta male in due accanto. Il vento di maestrale soffiava forte l’odore della primavera in arrivo. Salvo si schiacciava sulla testa il suo cappello borsalino nero a falde corte, finché una folata più forte glielo ha fatto volare via. E’ stato un attimo: il cappello si è sollevato alcuni metri in alto e poi è andato verso est, la direzione opposta del maestrale, ovviamente.
Letizia ha visto il cappello volare via ma non ha fatto in tempo ad afferrarlo. L’avevano comprato insieme, l’Autunno prima, ai grandi magazzini, perché quello che Salvo aveva, oramai, si era tutto consumato e anche se era un ricordo felice bisognava sostituirlo. In fondo i ricordi felici hanno questo di bello: rimangono e si rigenerano.
Il cappello ha scavalcato una recinzione e si è posato all’interno di un cantiere stradale; in cima ad una discesa. Come atterrato dopo una traversata.
“Eccolo dove è finito” ha detto Salvo che lo aveva rincorso per qualche metro, per poi fermarsi a guardarne la rotta.
“Lo prendo io” ha detto Letizia che subito è corsa verso l’ingresso del cantiere. Lei è fatta così: è generosa. Vuole sempre aiutarlo, si butterebbe nel fuoco per lui. Ma la rete del cantiere è chiusa bene, c’è un grande catenaccio ed è piuttosto alta.
Salvo indica il cappello mentre le corre incontro: “E’ là, non perderlo di vista”. Teme che il vento lo possa far rotolare ancora via. E poi non saprebbero più dove cercarlo.
Letizia cerca un varco che non c’è, una soluzione; Salvo allora decide subito di scavalcare la recinzione. Mette i piedi tra le maglie, sale un paio di passi, ma quando arriva su si accorge che in bordo superiore è acuminato. Ci pensa un po’, poi decide di scendere.
“Da qui è pericoloso”. In genere la via più corta non è sempre quella giusta. A volte è imprudente. Ora si guarda intorno.
Letizia non perde di vista un attimo il cappello, che ora non si muove più. Lì per terra, non è più esposto al vento. E’ immobile, solamente perso.
“Bisogna salvare il cappello” pensa Letizia. Lo pensa anche Salvo. Altre volte lo avevano smarrito. Una volta in un ristorante era rimasto su una sedia. Altre volte, bistrattato, per incuria, avevano dimenticato di pigliarlo, proprio quando era freddo e sarebbe servito.
“Vado di là” dice Salvo, indicando il margine della recinzione, verso un muretto. E’ una strada più lunga, magari più faticosa, ma è sicura. Salvo cammina sul margine del muretto, lentamente, mentre Letizia gli dice di fare attenzione. Quando ha passato la rete, salta giù, con cura, per atterrare bene, senza farsi male alla schiena. Salvo ora ha ripreso il cappello. Prima lo mostra a Letizia, sorride. Si allunga e glielo passa dalla rete e piano, con la stessa cura, risale.
Poi se lo schiaccia bene in testa, ci ripensa e lo tiene tra le mani. In una mano, perché con l’altra stringe la mano di lei. Mentre camminano ancora sul marciapiede troppo stretto. Ci sono cose che vanno tenute strette, protette, perché sono preziose.
Una sera, tra tanto tempo, a casa, forse a cena, parleranno di quella volta che insieme salvarono il cappello nero a falde corte. Che si era smarrito.
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