Il Signor Sigismondo, per i familiari Biagio, confidenzialmente detto Biasino, assisteva a tutte le partite di pallacanestro che si giocavano in paese arrivando al campo sempre in bicicletta. Da decenni era un grande tifoso di basket: tre nipoti che giocavano nella squadra del paese, prima Alfonso, poi Chiara ed infine Ubaldo erano stati ed erano la sua gioia.
Anche per il paese girava in bicicletta, fino ad un certo punto montava una lambretta bianca, ma passate le ottanta primavere la accantonò e la bici divenne il suo mezzo di locomozione esclusivo. Sempre in maniche di camicia, sbottonata peraltro, anche d’inverno.
Biasino aveva lavorato per anni nell’edilizia, la sua specialità erano i muri a secco, una pietra alla volta, con pochissima malta, tirava su alte pareti in pietra. Quelle pietre una sull’altra contenevano grandi terrazzamenti di terreno vegetale o rinforzavano costoni rocciosi a picco sulla statale. Raccontava di aver tirato su interi versanti, dalle parti di Positano, con precisione e tanta pazienza. Oltre che fatica naturalmente. E anche dalle parti di Positano o sulla costa sorrentina, partendo da Minori, ci arrivava in bici. Il Lunedi mattina partiva per tornare il Venerdi, sempre in sella alle sue due ruote. Ad un certo punto era accaduto anche un incidente, e l’invalidità alla gamba con tanto di certificato. Ma questo non lo scoraggiava di sicuro.
Ho sempre considerato il signor Sigismondo, Biasino, il nostro miglior tifoso, quello più affezionato, mai avaro di incoraggiamenti anche nelle nostre stagioni peggiori. Ricordo campionati di promozione disputati dinanzi agli occhi di pochi intimi, domeniche pomeriggio di primavera quando gli spettatori bisognava spingerli dentro a forza, con Biasino sempre presente, nell’angolo degli spalti verso ovest, arrivare con un quarto d’ora di anticipo, recuperare dall’incastro dei tubolari della tendostruttura un rettangolo di cartone e sedersici sopra, per non sporcarsi i pantaloni. Ma Biasino non assisteva solo alle nostre partite: seguiva con attenzione tutti i campionati, anche quelli giovanili. Quando la squadra di Amalfi raggiunse la serie “C” e stabilì un biglietto di ingresso, Biasino non si perse d’animo, ai cancelli esibiva il suo tesserino di invalidità come un lasciapassare per coltivare la sua passione più bella. Eppure Biasino non aveva mai giocato a pallacanestro, neanche a calcio: al massimo alle bocce.
Circa le nostre partite in trasferta, Biasino chiedeva al nipote. Da Ubaldo pretendeva dettagli sul punteggio, marcatori, bravura degli avversari ed eventuali eventi straordinari. Non disdegnava i commenti tecnici, Biasino, l’osservazione di centinaia di partite gli garantiva la competenza sufficiente per suggerire strategie, consigliare sostituzioni, criticare l’arbitraggio se era il caso, proporre nuove soluzioni offensive e difensive. Per ognuno dei giocatori aveva un soprannome, spesso derivante da caratteristiche fisiche o da parentele. Su di me si informava: “il barone come ha giocato ?”. Ubaldo le prime volte rispondeva meccanicamente “bene, bene”, senza capire a chi si riferisse. Finché ebbe il coraggio di farsi spiegare. Si scoprì che, pur non avendo titoli nobiliari, mio nonno (quasi un coetaneo di Biasino nato il 1914) veniva detto “il barone” (probabilmente in virtù del possedimento di suoli agricoli), dunque, per discendenza, io pure lo ero. Un soprannome, ci tengo a precisare, che è stato ad uso esclusivo di Biasino.
Quando all’inizio del 2006 non vedemmo più Biasino sugli spalti capimmo che stavamo perdendo il nostro miglior tifoso. Durante la malattia volle tornare dalle parti di Positano a controllare se i suoi muri stessero ancora su, e al nipote li mostrava orgoglioso. Pur non avendoli mai visti di persona, sono certo che quelli di Biasino sono muri buoni, che non ci dividono, semmai ci difendono.
Biasino se ne andò nell’autunno di quell’anno. Giocavamo sempre il campionato di promozione, quella stagione ero l’allenatore e il capitano, prima dell’incontro chiamai il primo arbitro da parte; non mi ricordo che parole usai, comunque gli spiegai che avremmo voluto fare un minuto di silenzio per ricordare un nostro tifoso speciale. Non so adesso, ma allora decretare un minuto di silenzio non era un operazione così automatica, di solito venivano indicati solamente dalla federazione per eventi particolarmente gravi, oppure il presidente della società lo comunicava con anticipo con un telegramma. A volte, se era successo qualcosa di grave nell’imminenza della gara, gli arbitri lo acconsentivano, ma erano casi particolari: solo per giocatori o dirigenti. Ma quella volta, forse grazie ad un arbitro comprensivo, o forse perché era giusto andasse così, prima dell’incontro rimanemmo in silenzio; un intero minuto per il nostro tifoso Biasino.
Che in paradiso, seduto sul suo rettangolo di cartone, tifava ancora da lassù.
(grazie ad Ubaldo per la foto)
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