Nonostante la dose quotidiana di incitamenti e tranquillanti, dispensata dal tg1, sembra essersi fatta largo la notizia che l’Italia sia in deflazione. Non accadeva dal 1959 cioè dall’anno in cui l’Unione Sovietica lanciò nello spazio Luna 1 il primo oggetto costruito dall’uomo ad uscire dall’orbita terrestre. Non ci sono motivi per stupirsi, per uno stato che tassa anche il patrimonio immobile e senza rendita, la deflazione è un processo inevitabile.
In sostanza non basta l’aumento del costo dell’energia a spingere l’inflazione: gli italiani sono costretti a rinunciare a tutto ciò che non ritengono indispensabile e a consumare meno ciò che costituisce beni di prima necessità, che per questo motivo calano, seppure leggermente di prezzo.
Tutto sta ora nello stabilire cosa sia indispensabile e cosa no.
Pane, latte, carburante per le autovetture, gas di riscaldamento e corrente elettrica sono necessari.
Abbigliamento, giornali, pizza fuori, parrucchiere, caffè al bar, l’abbonamento sky, sono gradevoli lussi ma non essenziali. Si possono contenere.
Ciò che un paese in deflazione invece certamente elimina è ciò che ritiene superfluo.
In ogni settore della vita sociale. Facciamo un esempio facile nel campo dell’edilizia.
Immaginiamo che, nonostante la crisi e la deflazione, qualcuno pensi ancora di ristrutturare casa.
Il primo che viene convocato sul posto è il capomastro della ditta, che è chiaramente indispensabile. Questi immediatamente elabora prima un rilievo sommario e immediatamente dopo un progetto, entrambi su di un unico foglio a quadretti strappato dal quaderno di seconda media del figlio. In questo progetto vengono eliminate anche alcune pareti portanti, tanto per stimolare positivamente il committente, che scopre di avere molto più spazio a disposizione di quanto sperasse, a procedere nei lavori.
La seconda convocazione è per l’idraulico che in cantiere edile è un bene inalienabile. L’idraulico farebbe volentieri (si sente in grado benissimo) anche il progetto, ma siccome lo ha fatto già il capomastro, pare brutto e allora si limita all’esecutivo dei bagni, disposizione dei pezzi, eventuali spostamenti di piccole pareti eccetera. Ovviamente anche la cucina è un argomento sul quale l’idraulico può avere ampio margine di manovra, decidendo il luogo, le fattezze, le dimensioni, la disposizione e se serve o no la lavastoviglie. Quesito che solleva lunghissime discussioni. L’idraulico inoltre evidenza problemi insoluti (tipo la pendenza del tubo di scarico) che nessuno avrebbe, in sua assenza, mai scoperto, facendo crescere la sua autorevolezza.
Il terzo ad essere chiamato sui luoghi è l’elettricista. Per lui, a parte il semplice impianto, ci sono alcune mansioni speciali come ad esempio la scelta del sistema di illuminazione complessivo, argomento che può mettere in crisi alcune decisioni già prese dal capomastro e dall’idraulico, ma che alla fine lui riesce a mediare in qualche modo. L’elettricista ha poi il grande onere di dover coordinarsi con quelli che lo hanno preceduto, ma ci riesce anche può ricattarli con la minaccia del taglio della corrente durante l’esecuzione dei lavori. Quindi senza il fondamentale contributo dell’elettricista non si può neanche iniziare.
In alcuni casi alla convocazione dell’elettricista segue quella del falegname, si tratta di una figura quasi mistica, direi religiosa, che interviene solo in casi speciali e/o complessi, come il reparto dei paracadutisti della Folgore. In genere, però, lui così come il fabbro è un emanazione diretta del capomastro e quindi la sua presenza è data per scontata già dal primo appuntamento, così come le decisioni che li riguardano. In ogni caso vengono ritenuti necessari e non sostituibili, entrambi.
A questo punto viene convocato un rappresentante di qualche cosa: piastrelle, sanitari, cemento; a volte può essere anche solo un parente che conosce qualcuno che ha una ferramenta o una rivendita di prodotti edili. Questi decide le forniture fondamentali della casa, come il pavimento, i rivestimenti e gli infissi, facendo anche un calcolo “ad occhio” delle quantità necessarie. Anche se tecnicamente non è esperto di niente viene tenuto così tanto in considerazione che in caso di perplessità, il committente convoca subito una conferenza di servizi nella quale chiama a comparire, alla presenza di questo personaggio, tutti gli altri, tipo assemblea delle nazioni unite. Insieme, fanno così tanto amicizia che, alla fine, aumentano tutti il preventivo dal 5 al 10%.
Quando è tutto deciso, anche i contratti sono stati fatti e firmati, cioè quando bisogna fare solo le carte c’è un brevissimo conciliabolo tra le parti durante il quale viene stabilita la necessità, purtroppo, di chiamare anche un tecnico per sbrigare gli adempimenti di legge. A questo punto, con il paese in deflazione (ma in realtà anche prima), difficilmente viene presa in considerazione l’ipotesi di chiamare un architetto. Si ritiene assolutamente inutile scomodare un dottore con tanto di laurea per una cosa che, in fondo, è già stata tutta stabilita. Per questo motivo c’è sempre quello che conoscendo un cugino geometra fa il suo nome durante il dibattito e quindi alla fine viene chiamato questo geometra, anche perché (e questo è l’argomento più efficace) “sicuramente il geometra costa meno dell’architetto”.
In altri casi, più audaci, siccome si tratta di un lavoro, tutto sommato, di modesta entità, non viene chiamato neanche il geometra, il capomastro suggerisce di fare una comunicazione semplice al comune, come se si trattasse di una tinteggiatura e così si può iniziare con le demolizioni delle travature anche il giorno dopo.
In buona sostanza, la deflazione elimina il superfluo.
Ed oggi, in Italia, niente è considerato più superfluo dell’architetto.
(difficile convincere l’italiano medio del contrario)
P.S.: in genere il geometra si fa pagare più dell’architetto.
Ricordati che “L’Architemario – Volevo fare l’astronauta“ è l’unico manuale al mondo per la sopravvivenza dell’architetto contemporaneo italiano. Per acquistare “L’Architemario“, clicca qui
FOLLOW ME ON TWITTER: @chrideiuliis