– Decide la figura dell’architetto: Di solito il super-io ingombrante dell’architetto non accetta di mettersi da parte, considera quella di casa sua la migliore (forse l’unica) occasione della sua vita professionale e la eleva a laboratorio sperimentale di qualsiasi forma di idea alternativa che ha maturato per anni, cercando, talvolta di convincere suoi clienti ad adottarla uscendone sempre rimbalzato con gravi perdite. Queste soluzioni di stampo innovativo allungano i tempi di lavorazione di moltissimo, perché di solito necessitano di materiali che devono arrivare, come minimo, da un altro continente. Inoltre all’architetto, di sua natura già piuttosto indeciso, se gli si concede ulteriore tempo per riflettere, può entrare in loop infiniti. Le case realizzate con questa modalità sono sicuramente di grande impatto visivo e a volte finiscono anche sulle riviste patinate, tuttavia viverci è sempre difficile, in quanto sono abitazioni essenzialmente scomode e difettose poiché non tutte le soluzioni tecniche, in quanto innovative, funzionano bene.
– Decide la figura del committente: Quando l’architetto ha già commesso gli errori del punto precedente, allora riesce a fare un passo indietro e a mettere da parte tutte le sue idee originali ed alternative. In questo frangente prevale la saggezza del committente che, prima di ogni decisione, si consulta con amici, parenti, colleghi (che prima di lui ci sono passati) e abbandona le soluzioni avanguardistiche per realizzare un abitazione semplicemente normale, in tempi definibili adeguati. Si tratta di case “frenate”, dove si vede tale e quale che ogni istinto dell’architetto è stato calmierato. Le uniche concessioni possono rintracciarsi nelle tende, le maniglie delle porte e nel portaombrelli all’ingresso.
– Decidono le due figure a giorni alterni: Si tratta di un pericoloso caso di schizofrenia da architetto pentito che ha grandi slanci in avanti e successive, sagge, marce indietro. Il giorno prima approva l’idea del classico soppalco in cartongesso e il giorno dopo vuole la doppia altezza. La sera va a dormire convinto che farà un pavimento in cemento spazzolato ma la mattina dopo è già più orientato sulla ceramica smaltata. Questo comportamento provoca grandi pause di riflessione e, a volte, l’abbandono del cantiere da parte del capomastro che liquida l’architetto-committente con una frase tipo: “quando avete deciso mi chiamate” e preferisce occuparsi di qualsiasi cosa pur di allontanarsi dal cantiere, persino di rattoppi stradali.
– Decide il partner: Quando l’architetto-committente è in piena crisi e il capomastro è a rattoppare la statale, entra in gioco, inevitabilmente, una terza persona che materialmente proverà a trovare una mediazione tra gli altri due soggetti di cui sopra. Di solito questa terza persona è il partner che nella vita si occupa di tutt’altro e che, suo malgrado, verrà trascinato in giro a guardare prima qualsiasi tipo di materiale da costruzione (resine, parquet, pitture traspiranti ecc…), quindi in sterminati centri arredamento (cucine, divani, letti). Resistere a questa prova fisica e psicologica, rappresenta per il partner una grande prova d’amore; infatti alla fine della ristrutturazione la coppia o si sposa o si lascia. La variante del partner, in caso di single, è rappresentato dal genitore con il quale non si corre il rischio né della separazione né del matrimonio.
(nelle foto: cube house a Rotterdam – belle da fuori ma scomode dentro)
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