Da quando il reato edilizio è considerato socialmente più pericoloso dello sfruttamento della prostituzione, lo spaccio di droga e il sequestro di persona, non è raro che gli architetti frequentino i tribunali. Riconoscere un architetto in tribunale non è così semplice, esclusi gli avvocati, elegantissimi, tra i corridoi e le aule c’è sempre un via vai molto confuso dove pascolano esseri umani di varia natura ed estrazione sociale, nel quale l’architetto si confonde; tuttavia in funzione del motivo per cui si trova in tribunale, l’architetto, con un attento lavoro di osservazione, può essere identificato.
Ecco i cinque ruoli a causa dei quali si incontra un architetto in tribunale:
1) IMPUTATO: Questa è la causa, purtroppo, più frequente per la quale ultimamente ci si può imbattere in un architetto in un tribunale. Basta una carta fuori posto, due ferri in più in un armatura, una finestra più larga di 10 centimetri e l’architetto si trova invischiato in un procedimento penale con dai 3 ai 6 capi d’accusa, peggio di un narcotrafficante di Medellin. L’architetto imputato si riconosce subito dall’aria di straniamento che gli si stampa sul viso, insieme a quell’espressione di innocenza tipo Cappuccetto Rosso nel bosco. Porta con sé sempre una grande borsa piena di documenti, fotografie, codici civili e penali, richieste di sanatoria e sentenze del TAR. Questo indipendentemente se sia un architetto onesto o un delinquente recidivo.
2) IL CONSULENTE TECNICO: Siccome nei processi che riguardano reati edilizi, alla fine non ci capisce mai niente nessuno, spesso l’architetto viene chiamato in causa come consulente. A volte dall’accusa, molto più spesso dalla difesa, talvolta dal giudice come consulente d’ufficio. In questo caso l’architetto, investito di un potere che non gli capitava da quella volta che gli chiesero di firmare la “camicia” dell’esame di laurea, prende molto sul serio il suo ruolo, si veste bene, tira fuori dall’armadio la borsa in pelle regalatagli dieci anni prima ma che puzza ancora di vitello e si presenta in aula anche dieci ore prima per non perdere il suo turno, convinto di dover parlare alla corte dai 25 ai 40 minuti come in “un giorno in pretura”. Nella maggior parte dei casi dopo 30 secondi non lo segue più nessuno e dopo due minuti il giudice gli chiede di depositare la perizia e di accomodarsi fuori.
3) TESTIMONE: L’architetto può anche essere chiamato in causa in qualità di testimone, informato dei fatti ma, in quanto architetto, capace di spiegare le circostanze con gergo molto tecnico e relativa autorevolezza. Di solito degli architetti testimoni si avvalgono gli avvocati della difesa, convinti di avere una freccia molto acuminata al proprio arco. Spesso però gli architetti testimoni si fanno prendere dall’ansia e, a causa della loro proverbiale precisione, dicono sempre molto più di quanto dovrebbero, provocando l’effetto esattamente contrario. Si riconoscono dal nervosismo isterico e dal fatto che quando li chiamano in aula o sono in bagno o a “fumare fuori”.
4) L’ASPIRANTE CONSULENTE TECNICO (d’ufficio): Con la crisi che c’è, molti architetti si iscrivono alle liste del tribunale per farsi nominare CTU in qualche procedimento di natura civile o penale. Il loro passaggio al tribunale è sempre piuttosto rapido, di quello che “si affaccia”, saluta un po’ di gente, chiede se ci sono novità, allaccia rapporti amicali e professionali con chiunque gli possa dare una mano. A volte mandano a fare dei caffè o si rendono disponibili a fare delle commissioni, anche le più umili tipo fotocopie, trasporto di fascicoli o “ammasciate” tra un’aula e l’altra. Senza scambiarci due chiacchiere, l’architetto aspirante CTU è praticamente indistinguibile dall’aspetto, potrebbe trattarsi di un fattorino qualsiasi, del garzone del bar o di un pretendente avvocato stagista.
5) PARENTE DI QUALCUNO: Anche in questo caso, per colpa della crisi, capita spesso che quando bisogna accompagnare un genitore, cugino o parente in genere in tribunale, la scelta ricade sull’immancabile architetto che c’è in ogni famiglia e che tanto “non ha niente da fare”. L’architetto parente è sempre molto rilassato, anche se gli stanno per condannare la mamma a 20 anni di carcere, lui, scioltissimo, chiacchiera amabilmente con tutti e dispensa consigli gratis a chiunque, anche non richiesti. Immediatamente abbandona il parente davanti all’aula dell’udienza e vagabonda felice per il tribunale come un bambino a Disneyland. Ad una certa ora, finito l’entusiasmo degli esordi, comincia a preoccuparsi per il grattino dell’auto e guarda continuamente l’orologio. Finché si addormenta su una sedia in corridoio e viene svegliato dal parente in lacrime dopo la condanna oppure abbandonato.
Tuttavia esiste ancora una differenza sostanziale tra gli architetti in tribunale, ancora più importante rispetto al ruolo che assumono, ed è legata al sesso. L’architetto donna si muove in tribunale con una maggiore professionalità, mantenendo quella compostezza che l’architetto uomo inevitabilmente perde quando si rende conto che ogni tribunale, in genere, è pieno di figa.
FOLLOW ME ON TWITTER: @chrideiuliis