Durante gli ultimi giorni dell’anno, in quasi tutte le case, in un angolo silenzioso, si consuma il rito della scrittura della “Lettera dei buoni propositi”. Qualcuno crede sia un’usanza in via d’estinzione, invece una recente indagine ha rilevato che circa un italiano su due scrive una “Lettera dei buoni propositi” per l’anno che verrà; in questa particolare statistica si distingue la specie degli architetti. Io non l’avrei mai detto, ma ben il 35% degli architetti italiani redige una lista di cose che ha intenzione di fare nel nuovo anno. In una classifica virtuale per categorie, gli architetti sono al terzo posto, dietro solo ai detenuti e agli studenti di quinta elementare.
Tra queste buone intenzioni ci sono degli “evergreen” e delle “new entry”: ecco i 10 buoni propositi per l’architetto nel 2015.
1) Capire a quale regime fiscale aderire: Siccome la manovra fiscale viene ideata sempre in prossimità del Natale, ogni fine anno c’è sempre questa incertezza, per cui l’architetto trascorre le vacanze natalizie a cercare di capire quali e quante nuove tasse dovrà pagare l’anno nuovo. I più ottimisti pensano sempre che pagheranno di meno, fino a quando non chiamano il loro commercialista che, per delicatezza, gli risponde sempre: “ne parliamo dopo le feste”.
2) Cambiare le mattonelle del bagno di casa sua: Sono almeno 15 anni che l’architetto ha l’esigenza di rimodernare il suo bagno oramai devastato; gli e lo ricorda periodicamente la moglie (il marito) o, in alternativa, la madre. O entrambi. Nel frattempo ha conosciuto decine di idraulici e ha sistemato almeno 3 bagni all’anno, per un totale di 45 bagni.
3) Recuperare dei crediti: Tutti gli architetti hanno crediti con clienti che si sono dati per dispersi o “buttati nelle campane”*. Ogni volta si tende a rimandare la spedizione di un sollecito o peggio ancora della famigerata lettera dell’avvocato. Si tratta di denaro sul quale si è già abbondantemente pagato IVA e tasse, capita che tale credito sia quantificato in moneta non più corrente e ci vada applicato un coefficiente ISTAT di aggiornamento. In alcuni casi il creditore non è più vivente e gli eredi non ne sono, o fingono di non esserne, a conoscenza; si tratta dei frangenti più complessi, nei quali l’architetto, il più delle volte, rinuncia.
*: “buttati nelle campane”: far finta di aver dimenticato.
4) Farsi il sito internet: Non tutti gli architetti hanno fatto pace con la tecnologia, si pensi agli architetti anni ’50-’60 per cui il computer rimane ancora, spesso, un mistero insoluto. Tuttavia anche i più tradizionalisti tendono ad arrendersi, oggi se non sei su internet non sei “nessuno”. Poi dopo il sito vengono a ruota: la pagina Facebook, il canale Youtube, il profilo Twitter, Instagram, Linkedln e l’esaurimento nervoso (per dovere di onestà va anche detto che molti architetti anche quando sono, massicciamente, su internet, rimangono “nessuno”).
5) Fare più sport: Questo proposito “evergreen” è influenzato dalle numerose abbuffate alle quali qualsiasi architetto viene sottoposto durante le feste natalizie, di conseguenza dall’aumento di peso e dall’inevitabile senso di colpa. Di solito questo proposito sfuma entro meno di due settimane, in tempo per evitare all’architetto la spesa inutile dell’acquisto del materiale tecnico (scarpette da corsa, bici, costume per piscina ecc.).
6) Riprendere la vecchia moto in garage: Si tratta di un “evergreen”. Ogni architetto è stato davvero giovane nella vita e custodisce, sotto un telo plastificato, in un angolo del garage, una moto, ma va bene anche uno scooter o il “ciao” degli anni ’80. Ogni tanto ne controlla l’esistenza alzando il telo e restando quasi soffocato dalla polvere che solleva. Il recupero della motocicletta impolverata soddisfa la vena nostalgica dell’architetto che invecchia e che spera di tornare giovane almeno qualche giorno all’anno risentendo il vento nei capelli (che non ha più).
Variante femminile: Recuperare il cavalletto, le tele e i pennelli per riprendere a dipingere come al liceo. I colori acrilici, nel frattempo, sono diventati frammenti di roccia e il cavalletto se lo sono mangiato i tarli. Delle tele, nessuna traccia.
7) Non rinnovare più gli abbonamenti alle riviste d’architettura: All’inizio fa molto figo esibirle sulla scrivania dello studio, sniffare le pagine patinate e sfogliarle anche in luoghi pubblici nonostante il peso e la dimensione. Con il tempo l’architetto si accorge che quello delle riviste d’architettura è un pianeta che non gli appartiene e, soprattutto, che non ha più neanche il tempo per leggerle. Quindi con un filo di tristezza disdice. E’ facile: io l’ho fatto nel 2004.
8) Buttare via il tecnigrafo: Gli architetti più giovani non sanno di cosa sto parlando, ma la maggior parte degli architetti tiene nel proprio studio un vecchio arnese dalla forma stravagante; sembra un tavolo da pranzo o uno strumento di tortura medioevale, si tratta del vecchio tecnigrafo. Una volta, prima dell’avvento della differenziata, si poteva abbandonarlo nottetempo accanto al bidone dei rifiuti e scappare via. Oggi il solo pensiero di doverlo trasportare all’isola ecologica o di prendere appuntamento con i vigili per lo smaltimento, mette troppa ansia all’architetto che allora lo lascia richiuso in un angolo. Questo proposito fa il paio con quello della moto, in entrambi i casi il passato non passa mai.
9) Capire come si usa il programma per fare un APE (Attestato di Prestazione energetica): L’architetto, sull’onda delle richieste sempre più numerose, questo programma lo ha scaricato, acquistato, visionato la Demo, partecipato a convegni e lezioni collettive, ma alla fine la redazione di un APE, compilato con assoluta precisione (gli architetti sono gente precisa) resta un mistero. Intanto essendo cambiata la legge, anche quei pochi architetti che avevano capito qualcosa e si cimentavano nell’impresa titanica di partorire un certificato, devono ricominciare daccapo. Tutto questo mentre il geometra dello studio accanto sforna APE come se fossero sfilatini.
10) Cambiare lavoro: Non è proprio una “new entry”, ma adesso ci stanno pensando in tanti.
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