L’altra sera ero ad una riunione di ex-giocatori di subbuteo.
Non tutti sanno che io da ragazzino ero un discreto giocatore di subbuteo, ero anche iscritto a questa società: solosubbuteo1974. Il ’74 era l’anno di fondazione; in bacheca avevamo due titoli provinciali a squadre ed un regionale individuale, vinto dal nostro fuoriclasse: Mario Robetti detto “Falange armata” per la forza che riusciva ad imprimere ai suoi tiri. La società fallì nel Maggio del 1994, il giorno che Robetti si ruppe l’indice ed il medio della mano destra in una semifinale nazionale, provando il famoso colpo “dello scarabeo” dalla trequarti difensiva, in zona Cesarini. Perdemmo partita e onore, e la sera stessa Robetti sciolse la società dal notaio e il panno verde del subbuteo
nell’acido. Comunque ci siamo rivisti al ristorante “da Anselmo non solo pizza” dopo 20 anni, tutti e 18, compreso il magazziniere e l’arbitro, invecchiatissimi. La quota da pagare in anticipo era di 40 euro, da versare direttamente nel borsellino della moglie del Robetti, una bionda vistosa come una prostituta in un seminario.
Racconto questo episodio perché ad un certo punto della cena, il Robetti, ancora capo storico e carismatico della truppa, si è alzato in piedi e ha chiesto a tutti di dire cosa facevano ora nella vita. Dunque, ognuno ha iniziato a dire se era sposato o celibe, dove viveva e che lavoro faceva. Operai, impiegati pubblici, autisti, un ingegnere elettronico, un paio di elettricisti. Quando è arrivato il mio turno, mi sono alzato, e ho detto che sono un architetto.
Nella sala è partito un brusio sospetto. Ad un certo punto il Follini, sindacalista e/o biliardista, mi chiede: “nella pubblica amministrazione ?”. Ed io “no, libero professionista”. A quel punto è calato il gelo in tutto il ristorante, anche il pizzaiolo ha poggiato la pala e ha incrociato le mani impolverate di farina sul petto, in attesa delle mie spiegazioni.
Il Robetti, avvertendo che toccava a lui, ha interrotto il silenzio con un: “sicchè tu hai una partita iva ?”; ho annuito.
Baldassini, ex caposezione di Democrazia Proletaria, indicandomi a tutta la platea, mi fa: “eccolo là il De Iuliis, un bell’esempio di capitalista ed evasore fiscale”. Non ho fatto in tempo a replicare che Maffei, disoccupato socialmente inutile mi ha detto ironico: “chissà quanto nero che fai….”.“Vi conosco, voi architetti” questo è il Padellari che parla, insegnante di latino al liceo parastatale, “la mattina vi alzate quando volete, e la sera siete sempre al bar a fare i fighetti, che tirate tardi a birra e noccioline”. “E non dovete timbrare mai il cartellino !” hanno ribadito all’unisono Fiaschini, assenteista all’ufficio anagrafe del Comune e Boldi, pari caratteristiche ma sportellista ASL. “Che poi, vogliamo dirlo”, ha interrotto tutti Gazzaroli, gay clandestino, che giocava a subbuteo solo per frequentare maschi, “gli architetti si vestono malissimo. Sempre con queste giacche con le toppe, che non si portano più da anni !”. “Si ! E con le scarpe sempre sporche di calce” ha rinforzato l’argomento Spigarelli che in qualità di nipote e figlio di ciabattino ne capisce. L’atmosfera si stava facendo pesante. “Odio gli architetti” ha alzato il livello dello scontro, Di Rocca, già al quarto bicchiere di rosso, che per anni aveva avuto una ditta di ponteggi chiusa dopo un crollo con sei feriti. “Arrivano sul cantiere e pensano di sapere tutto, e non danno mai ascolto alle maestranze. Fosse per me li ammazzerei tutti”. E giù il quinto di rosso.
“Oddio, ammazzarli no”, gli ha risposto Bocaccini, portiere d’albergo per hobby e playboy di professione “ma un bel po’ andrebbero espulsi. Ma avete notato quanti architetti ci sono in giro ? Sono dappertutto, una vera invasione, non se ne può più”. “E poi sempre con quella puzza sotto al naso”, ha aggiunto ancora Gazzaroli, effeminatissimo nel frangente specifico.
“Propongo di votare” ha fatto chiosato Robetti, tintinnando la forchetta sul calice. “Votiamo l’esclusione di De Iuliis da questo tavolo”. L’ultima volta avevamo votato nel 1989 per espellere il giovane Barberini, matricola a giurisprudenza, che barava sui punti e rubava i biscotti dalla credenza di casa Robetti. Il democratico suffragio è stato quasi unanime, si sono astenuti dall’alzare il braccio, solamente Brozzi e Mammelli. Brozzi perché si era addormentato e Mammelli perché al cesso. Io volevo abbozzare un’arringa difensiva, tipo che non abbiamo ferie pagate, giorni di malattia, tfr, liquidazione, ma contributi pensionistici alti, guai giudiziari, weekend di lavoro eccetera, ma sarebbe stato inutile.
Così sono stato allontanato dall’assemblea degli ex giocatori di subbuteo. Tuttavia avendo subito una evidente discriminazione, ho provato l’ultima carta: “Mi appello all’articolo 18 per architetti”, l’ho buttata là, coraggiosamente. Follini, che della materia ne sa, ha risposto crudele: “non esiste più, lo hanno abolito ieri sera e comunque per gli architetti già non esisteva”. Così, ho indossato la mia giacca con le toppe begie che con le scarpe marroni sporche di calce fa tanto fighetto e ho lasciato il tavolo dopo solo un antipasto misto mare e senza ritirare la liquidazione consistente almeno in due fette di capricciosa.
Lo dirò stanotte al bar, alla terza birra mentre sgranocchio noccioline, come mi hanno licenziato.
Senza possibilità di reintegro.
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