L’assalto diurno e notturno al realizzando parco giochi sul lungomare di Minori è uno dei sintomi di un atteggiamento verso gli spazi comuni oramai così diffuso da ritenersi acquisito, purtroppo tollerato.
Nel paese del “Laissez-faire” (“Lasciate fare”) è assolutamente normale che bambini ed adolescenti giochino all’interno di un cantiere recintato sotto gli occhi dei potenziali controllori, dove naturalmente il ruolo di “controllore” e “controllato” è oramai talmente miscelato da poter considerare entrambe le figure puramente virtuali.
Tuttavia il crescente spirito di appropriazione dei beni pubblici è un segnale che i giovani percepiscono dall’esempio di chi li governa: “Lo fanno gli altri, facciamolo anche noi”.
Così si convive con la sensazione che non esista più un bene comune immune da qualsiasi tipo di aggressione.
Gli esempi ci circondano: in primo luogo le spiagge. Terra di conquista economica. Irreggimentate, colonizzate e scippate alla comunità.
Le piazze, le strade, vittime della sindrome del «tavolino selvaggio» che nottetempo diventano luoghi di schiamazzo e bivacco, quando non terreno di giochi sportivi.
I sentieri, le strade e le aree interne: dimenticate, occupate abusivamente, pericolose.
Il dispregio dei luoghi destinati alla cultura. Senza ri-scomodare gli scavi della Villa Romana, si pensi al sito della grotta dell’Annunziata, con la cappella rupestre, divenuto parcheggio sotto gli occhi di tutti, innanzitutto degli amministratori.
E ancora: vendite abusive, sigarette e alcolici per minorenni, aree pedonali invase da mezzi elettrici, occupazioni di marciapiedi, abbandono di rifiuti e raccolta (rumorosa) a qualsiasi ora del giorno, aree di sosta privilegiate, cani lasciati liberi di sporcare e molto altro ancora.
Avviene tutto qui, dove oramai il rispetto delle regole è divenuto un puro esercizio di stile, quasi manicheo, per cittadini (fortunatamente) eticamente autodotati.
Che, impotenti alzano le spalle e insofferenti valutano l’esilio, perché la moralità chi la possiede la reclama dal prossimo e se non la riceve o la perde o decide di spenderla altrove.
Di questo clima di sotterranea autarchia (“non vedo”), indifferenza (“non sento”), regressione della coscienza civica (“non parlo”), la campagna elettorale (almeno finora) non si occupa. Tra avvertimenti, “ammasciate” e promesse, resiste il clima da “non disturbare il manovratore”. Eppure questo argomento dovrebbe stare al primo posto di una ipotetica agenda sociale.
La prima, essenziale, opera pubblica da cantierizzare: ritornare ad un normale rispetto delle regole basilari della convivenza civile.
Che non riguarda stabilire un temibile «stato di polizia» (videosorveglianza, sanzioni, sequestri…) ma bensì rimettere il paese sui binari dell’educazione civica.
Ai cittadini non servono multe ma esempi.
Nel paese del “Laissez-faire” sarebbe questa la prima pagina da voltare.
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