RISCOPRIRE JOHN FANTE

Dopo aver pubblicato “Dago Red” la raccolta di racconti che sanciva il successo del suo alter ego Arturo Bandini, John Fante rimase ben dodici anni senza riuscire a completare nulla in narrativa, lavorando principalmente per il cinema. Finché, in una lettera che invia ai genitori nel marzo del 1950 parla di un nuovo libro: “E’ il racconto della nascita di Nick” gli confida.

Fu l’editore a consigliargli di smettere di trincerarsi dietro il soprannome di Arturo Bandini e di utilizzare per il nuovo romanzo il suo vero nome e anche quello dei suoi familiari.

“Full of life” venne pubblicato infine nel 1952 “è una storia molto bella su un marito e una moglie e di come diventano i genitori di un bel bambino” scrive sempre Fante ai suoi genitori.

Nonostante la fedeltà nei nomi e nei luoghi, il romanzo resta infarcito di elementi di fantasia. Pure la moglie, Joyce, ebbe modo di confermare che i rapporti con John, in quegli anni, non erano così idilliaci come emerge dal romanzo. Il libro ebbe successo, garantendo a Fante ottimi guadagni economici.

Ma probabilmente Fante sarebbe stato dimenticato se, diversi anni dopo, il suo amico Charles Bukowski (che lo considerava un maestro) non lo avesse convinto a tornare alla scrittura, impegnandosi a trovargli nuovamente un editore. Noi italiani dobbiamo invece essere grati all’indimenticato Francesco Durante (che è stato tra l’altro fondatore del festival Salerno Letteratura) che attraverso la traduzione dei romanzi di Fante, riportò lo scrittore del Colorado, (ma di chiare origini italiche per genitori abruzzesi), sugli scaffali delle nostre librerie.

“Full of life” in Italia comparve nel 1957 col titolo “In tre ad attenderlo” per la Mondadori, poi passarono più di trent’anni per essere “ripescato” da Fazi nel 1998 ed infine da Einaudi nel 2009.

Paolo Giordano nella prefazione dell’ultima edizione afferma che “Full of life è un esempio brillante di «romanzo maschile»”. Maschile le debolezze, l’autoironia, l’autocommiserazione e la fragilità del protagonista costretto a fronteggiare prima ancora della paternità, la conversione religiosa della sua sposa e anche le stranezze del padre che, alleatosi con la nuora, è pronto a colpevolizzare il figlio se quello che arriverà non sarà, finalmente, un nipote maschio. Dal libro fu tratto anche un film, “Piena di vita” (variazione sulla traduzione letterale) del 1957 con Judy Holliday che lo stesso Fante sceneggiò.

Fante, malato di diabete, cieco e amputato degli arti inferiori, dettò alla moglie il suo ultimo romanzo (“Sogni di bunker hill”, 1982), nel 1989, sei anni dopo la sua scomparsa uscì il film “Aspetta primavera Bandini” tratto dal suo romanzo del 1938 e diretto da Francis Ford Coppola. Ma le trasposizioni non sono terminate. Nel 2006 Tom Cruise produsse “Chiedi alla polvere”, film tratto da un altro suo romanzo di successo, con Colin Farrell e Salma Hayek.

Dal 2008 a Torricella Peligna in provincia di Chieti, paese che diede i natali al padre di John, Nicola Fante, si tiene il premio “John Fante opera prima”, che negli anni ha avuto il pregio di premiare, tra gli altri, Donatella Di Pietrantonio e Davide Mencarelli.

Nella letteratura di John Fante c’è tutto il “sogno americano”, quello che decine di migliaia di italiani inseguirono con l’emigrazione. Al ricordo dei suoi avi e al rapporto col padre, John Fante dedicò tutta la sua carriera di scrittore, un omaggio alla cultura dei nostri nonni, centrale e appassionato, senza retorica patriottica, senza sterile orgoglio.

Anzi, mai mancò a Fante l’autoironia che gli consentiva di distinguere i pregi dai difetti, col suo sguardo disilluso capace di muoversi tra la pietà e il sogno.

Ecco perché è sempre il momento giusto per riscoprire John Fante.

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