L’ORO PURO DI GENOVESI

C’è un momento preciso in cui la storia esce dal medioevo ed entra nell’era moderna.

La data è nella memoria di tutti: 12 ottobre 1492. E’ il giorno in cui Cristoforo Colombo toccò terra nel continente americano, sull’isola di San Salvador; da quel giorno cambia la storia dell’evoluzione nonostante Colombo credesse di aver raggiunto una delle centinaia di isole che circondano le indie come aveva letto nel “Milione” di Marco Polo.

La modernità, dunque, inizia grazie ad un colossale errore. Colombo era, infatti, convinto che il globo terrestre fosse più piccolo e il viaggio per le indie via mare molto più breve. Ma se non ci fosse stato il continente americano di mezzo, Colombo e suoi marinai sarebbero di certo morti di stenti durante la traversata.

E con lui sarebbe morto anche un giovane mozzo al quale sciaguratamente venne affidato il timone della “Santa Maria” (una delle tre caravelle, le altre erano la “Nina” e la “Pinta”) la notte di Natale del 1492.

Proprio quel giovane mozzo è il protagonista dell’ultimo libro di Fabio Genovesi, “Oro Puro”, edito da Mondadori, romanzo storico, liberamente tratto dal diario di bordo di Colombo come ricostruito dal vescovo spagnolo Bartolomè de Las Casas (l’originale è andato perduto) e dalle altre decine di fonti, alle quali Genovesi ha dedicato una lunga ricerca prima di avventurarsi, anche lui come gli impavidi sulle caravelle, in questo oceanico racconto (ben 450 pagine).

Il protagonista è un giovane ebreo che vive a Palos de la Frontera, Andalusia, costa a sud della Spagna, di nome Nuno; costretto a scegliere se convertirsi o sparire sceglie, quasi per caso, la seconda delle ipotesi, imbarcandosi alla volta delle indie. E’ la sera del 3 agosto del 1492. Ma Nuno non sa niente di navigazione, non conosce nessuno e non sa fare nessun lavoro di barca, allora gli viene affidata una clessidra per misurare il tempo. Finché si scopre che il ragazzo sa scrivere, così diventa l’amanuense dell’Ammiraglio, colui al quale Colombo affida ogni sera i pensieri del giorno appena concluso.

Intanto Nuno apprende i rudimenti del mare, il piccolo mondo che naviga grazie ad una nave, metafora di un corpo sempre in movimento.

La nave è una persona. Uno pensa che sia come una famiglia, una fattoria, un piccolo paese galleggiante, che funziona se i suoi abitanti si danno da fare insieme. Invece no: è qualcosa di più stretto e intenso: la nave è una persona.

All’inconsapevole Nuno, durante quel viaggio non interesserà troverà nuove terre, perché incontrerà l’amore di una giovane caraibica. Quell’amore che pensava non avrebbe trovato mai.

“Un miracolo normalissimo. Un attimo eterno. Una libertà che ti schiavizza, una schiavitù che ti libera davvero. L’amore”.

Così, svagato e sognante, quando la notte di natale del 1492, gli affidano il timone, Nuno finisce in secca con la prua della Santa Maria e a nulla valgono i disperati tentativi di tonneggiare dell’Ammiraglio; la caracca viene lasciata affondare non prima di averla svuotata di uomini e viveri. Proprio coi resti della Santa Maria, Colombo decise di fondare la prima fortezza oltre oceano, al quale diede il nome di La Navidad, che affidò a 39 uomini che accettarono di restare in quella che è l’attuale Haiti ma che non furono più ritrovati quando Colombo, mesi dopo, ritornò sull’isola.

Queste e molte altre cose accaddero durante il primo viaggio di Cristoforo Colombo.
Ammutinamenti, intuizioni e violenze. Scoperte e fallimenti opera di un genio folle, controverso e timorato di Dio.

“Era un capitano. Era un bugiardo. Era il nuovo marinaio.

Era Mosè. Era un bambino. Era un pazzo.”

Di ciò che cercava, oro innanzitutto, ne fu trovato poco. E anche di pepe, allora ritenuto un bene prezioso.

Ma quel viaggio pose le premesse per l’annientamento delle civiltà locali che, dal viaggio successivo, avvenne in maniera massiccia. Da Colombo in poi l’occidente saccheggiò le Americhe, importando materie prime ed esportando le armi e i vizi peggiori della nostra civiltà: la guerra, l’invidia, l’avarizia, la brama di potere.

Il viaggio di Colombo, a quasi sei secoli di distanza, ancora affascina. Ci appare eroico, a tratti incredibile. Ci spinge a chiederci se abbia senso che la paura freni le nostre decisioni e se ogni cosa ci accade grazie alla nostra volontà o solamente per un’oscura forza del destino che ci muove come pedine e decide per noi.

“Oro puro” è molte cose: è un romanzo storico, verosimile, prezioso, frutto di una grande ricerca e al tempo stesso un libro di formazione sulla bellezza della scoperta e sul coraggio. E’ però anche un vigoroso j’accuse nei confronti della civiltà moderna, cinica e cieca. Ed è, infine, anche un libro sull’amore, potente ed assoluto, consolatorio e totale, scritto con uno sguardo tenero e stordito, quasi sedato, dalla lentezza della traversata e dalle sue improvvise burrasche.

Fabio Genovesi (Forte dei Marmi, 1974)

Genovesi ci indirizza sulla strada dei dubitatori e con “Oro Puro” cambia passo alla sua personale letteratura, riunendo in una storia sola le sue tradizionali ispirazioni: innanzitutto quella naturista (seguendo il filo del suo penultimo libro “Il calamaro gigante”), quindi l’amore ribadito e sconfinato per il mare, ma anche il suo stupore ingenuo da scrittore-bambino e la delicatezza con la quale si pone nei confronti dei misteri del pianeta.

Elementi che lo aiutano a costruirsi la sua personale corazza contro gli inevitabili dispiaceri che verranno.

L’antidoto con il quale Genovesi affronta questo tempo che la vita ci concede, disperatamente troppo breve.

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