In assenza di una “Torre del Diavolo”, gli alieni hanno scelto un luogo meno tenebroso per manifestarsi dalle nostre parti.
Che sia capitato a Salerno, all’ingresso del porto commerciale (certamente più accessibile delle montagne rocciose del Wyoming) e senza scambio di prigionieri come nella pellicola di Spielberg, è da considerarsi una vera fortuna.
Di questo passaggio extraterrestre ci resta un segno lievissimo, sull’aiuola spartitraffico in via Ligea.
D’altronde tutto cambia: anche l’estetica degli incontri ravvicinati del terzo tipo.
Così fantasticavo tutte le volte che passavo dinanzi a quel bizzarro parallelepipedo multicolore.
Ma siccome la fantascienza del design è un genere inesistente, non sono stati gli alieni ma tre architetti salernitani a concepire l’oggetto misterioso, denominato “Local container” e prototipo di un piano d’arredo urbano molto più vasto, che nelle intenzioni dei progettisti avrebbe dovuto riqualificare quell’area di margine.
Una sequenza di sculture-gioco per evocare la sequenza dei container, in transito o in sosta, riproducendone l’aggregazione tramite moduli con le dimensioni classiche del mattone (10x10x30) ma tradotti nel linguaggio della ceramica artistica con i suoi smalti, le decorazioni, le pennellate e i colori della tradizione.
Ogni “LC” è in fondo un meccano: montato su un telaio metallico e composto da un massimo di 162 moduli assemblati a secco che grazie alle concavità possono scivolare lungo un asse orizzontale, generando infinite combinazioni e lasciando spazio alla creatività del compositore.
Agostino Granato, Giancarlo Covino e Sarah Adinolfi, architetti giovani quindi marziani, ideatori del progetto, lo sottoposero all’Autorità portuale che ne accolse gli intenti.
La sfilata dei “Local container” sarebbe stata una galleria d’arte “en plein air” nell’anticamera della città, un biglietto da visita; tratto d’unione tra l’artigianato locale della provincia e il flusso produttivo e ininterrotto del capoluogo.
Il vero incontro ravvicinato sarebbe stato con la sperimentazione di qualche capitale mitteleuropea.
Approvata l’idea, furono preparati gli alloggi “cementando” lo spazio tra le palme.
Dopo il finanziamento di un prototipo, nel 2008, il primogenito sbocciò nel primo interstizio disponibile. Furono gli stessi progettisti a cimentarsi nel tetris dei pezzi.
Ma, nonostante l’esito confortante e il coinvolgimento degli artisti consultati, l’esordio del progetto coincise con la sua fine. Smarrito, come spesso capita nel labirinto della burocrazia e dell’inconcludenza terrestre (di questa terra, sia chiaro).
Da allora, per “Local container” sono trascorsi quasi quindici anni, tra l’indifferenza e la curiosità.
Oblio già sufficiente a sfumare i fatti nella leggenda metropolitana.
E sostenere la tesi che sia un cadeau degli alieni.
Il progetto “Local container” sul sito dell’arch. A. Granato
“Local container” venne realizzato in collaborazione con Ceramica Erre
FOLLOW ME ON TWITTER: @chrideiuliis – search me on LINKEDIN
Sei un architetto o ti senti tale? Hai un parente o un amico architetto? COMPRA e/o REGALA: “L’Architemario in quarantena – Prigionia oziosa di un architetto”. Il libro che ogni architetto, vero, finto, parente o amico di, deve assolutamente leggere!. CLICCA QUI PER ORDINARLO SU AMAZON
Leggi anche: Teorie e tecniche dell’architettura abusiva (3/3) – Realizzazione dell’abuso edilizio
Teorie e tecniche dell’architettura abusiva (2/3) – Presupposti tecnici.
Teorie e tecniche dell’architettura abusiva (1/3) – Cenni storici e teorici