GENERAZIONE AMATO

Amato Giuliano è un arzillo signore che compirà 84 anni a maggio.

Nella sua lunga e prolifica vita, prima di diventare presidente della corte costituzionale, è stato deputato (con il PSI) senatore (con l’Ulivo), sottosegretario alla presidenza del consiglio in due governi Craxi, una volta vice, due volte presidente del consiglio e tre volte ministro (riforme, tesoro, interni).

Possiede due record probabilmente imbattibili: è l’unico ad aver ricevuto voti per diventare presidente della Repubblica per sei elezioni consecutive (da Scalfaro a Mattarella bis) ed è anche l’unico ad aver varato un provvedimento con il quale prelevava forzosamente (ed anche retroattivamente di due giorni) il sei per mille da tutti i depositi bancari italiani.

Da premier si rammaricò per non essere riuscito ad impedire il primo corteo del “Gay Pride” a Roma, nel 2000, mentre da ministro degli interni, nel 2007, rammentò ai sindaci il divieto di registrare qualsiasi forma di matrimonio gay.

Uscito candido da Tangentopoli nonostante la vicinanza con Craxi, nel 2011 intraprese una battaglia legale per smentire una pubblicazione che gli attribuiva 31.000 euro lordi di pensione al mese, precisando come fossero solo 11.000 netti più 5.000 di indennità parlamentare.

Mercoledì scorso, 16 febbraio , in una conferenza stampa “fiume” Amato ha spiegato (fatto inedito) perché non si andrà a votare su tre degli otto referendum proposti, ovvero per la responsabilità civile dei magistrati ma soprattutto per i quesiti che riguardavano eutanasia e legalizzazione della Cannabis.

Con un colpo solo la corte ha così cancellato le intenzioni di 600000 persone nel caso della cannabis e di 1 milione e duecentomila circa l’eutanasia, soprattutto di giovani che avevano “sposato” la causa di provare a cambiare qualcosa, in questo paese, su temi storicamente intoccabili.

Al di là della correttezza formale della formulazione del quesito, va ricordato che lo strumento del referendum, per quanto negli anni annacquato di significato, avrebbe potuto aprire una possibilità legislativa, laddove nessuno ha mai il coraggio di mettere le mani.

Intenzioni smontate dall’acuto Amato, che teme che, dopo una serata in birreria, qualcuno ubriaco possa chiedere ad un amico (ugualmente ubriaco, immaginiamo) di ammazzarlo o che l’Italia diventi un enorme prateria di papaveri e foglie di coca.

Non inganni il richiamo al parlamento a legiferare: è una vecchia formula retorica per dire che non se ne farà nulla.

La lezioncina in punta di diritto di Amato, durata ben oltre il lecito (forse a causa di un’astinenza da telecamere) racconta meglio di un documentario, un film o un’inchiesta, quanto il cambiamento in questo paese continui a non avere nessuna speranza.

E che, specie sui temi etici, rimane sempre più comodo voltarsi dall’altra parte.

E’ il famoso passato che avanza, ma non finisce mai nel bidone dell’umido.

La nostra storia, d’altronde, è piena di arzilli anziani che ammoniscono i giovani.

Che li ostacolano, li deridono, li blandiscono fino a fiaccargli ogni spirito d’iniziativa.

Baroni, inossidabili politici, burocrati e attempati integralisti offrono ai giovani una sola chance per farcela: diventare immediatamente vecchi come loro.

Alcuni si adeguano, altri no. Alcuni si accontentano. Altri emigrano.

In compenso per i referendum potremo esprimerci su quanti voti dovrà avere un magistrato per essere eletto nel CSM o sulla presenza degli avvocati nei consigli giudiziari.

Non vediamo l’ora.

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